Una calorosa stretta di mano a chi riconosce la citazione del titolo (e no, non vale cercare su Google). Alla prossima!
Il secondo disco solista di Sting No, non ho googolato; Sting e i Police sono stati per anni indubbiamente i miei preferiti!!! Ho visto almeno 5 concerti di Sting.
Grande @Pibaro per aver indovinato! Scusate l'assenza, ma è stato un periodo davvero no da cui ancora non sono riuscita a riprendermi. Vi risaluto con questa fanfic dedicata ad uno dei miei personaggi preferiti, spero che piaccia e che stimoli anche gli altri a produrre delle storie per portare avanti il nostro affetto per questo videogioco straordinario.
Personaggio: Gorion Genere: Introspettivo, Missing Moments, Malinconico. Rating: Giallo Avvertimenti: contiene informazioni ricavate da ToB. Appena ho visto la scenetta in questione non ho saputo resistere di scrivere qualche cosa sull'argomento.
Melodies of life
“Alianna!” Come siamo giunti a questo? Come ho lasciato che accadesse? “Alianna, ti supplico, fermati!” Mi guarda, meravigliosa mentre le fiamme divorano il tempio. I suoi occhi azzurri adesso riflettono il potere del fuoco, e quando una colonna crolla proprio alle sue spalle non accenna a muoversi, in piedi davanti all’altare su cui spicca il grande teschio d’oro. La ferita alla gamba inizia a pulsare. Fino a qualche attimo prima nelle mie orecchie c’era il fragore della battaglia, degli incantesimi lanciati contro le sacerdotesse nella speranza di fermare il loro piano, la voce di Dermin Courtierdale che sprona tutti a non arrendersi in nome dell’Equilibrio… ma adesso c’è soltanto silenzio. Ed il pianto di un neonato. “Che sapore ha la verità, Gorion? Cosa credi di ottenere adesso da me?” sorride, mentre il crepitio delle fiamme diventa un odioso sottofondo alla sua voce. Vorrei cancellare quelle parole, vorrei che il tempo si fermasse. O anzi, che tornasse indietro, che la clessidra si voltasse per restituirmi tutti quei momenti felici che il sogghigno del teschio sembra rubare dal mio petto mentre una lama brilla tra le sue mani. “I tuoi amici che arpeggiano sono arrivati troppo tardi. Tu sei arrivato troppo tardi! Pensi davvero di fermarmi in quelle condizioni?” La coscia mi brucia, ma so benissimo che non si sta riferendo a quella. Non ci separano che una manciata di passi, ma non riuscirei a colmare quella distanza nemmeno se le mie gambe fossero quelle di un gigante del fuoco. Un passo causerebbe la rovina di entrambi. Il bambino piange, disteso sull’altare. Ed i granelli della clessidra continuano a scendere. “Alianna, quello che stai facendo è una follia! Non puoi farlo davvero, è tuo figlio!” “Appunto”. Non è lei. Non può essere lei. Non può appartenere a lei questa voce, la stessa che mi sussurrava … “Nessun sacrificio sarà più grande. Il potere di Bhaal scorre nelle vene di questo bambino, e sarò io la prima ad offrirlo al nostro signore. Lui tornerà, unico e divino, e diventerò la sua prima sacerdotessa! Amelyssan scomparirà dai suoi favori una volta per tutte!” “SMETTILA!” grido, e la cenere dell’aria mi graffia fin nella gola. “COME PUOI PARLARE IN QUESTO MODO? COME PUOI DISTRUGGERE LA VITA CHE TI E’ PIU CARA AL MONDO? RISPONDIMI, ALIANNA!” “Questa è la via di Bhaal. La morte dell’amore”. Forse l’amore è morto davvero. Ma credevo potesse vivere in eterno. Credevo che potesse vivere in quel bambino meraviglioso, che ho aiutato personalmente a far uscire dal ventre della madre e che mi ha stretto il dito nella sua minuscola mano. Credevo che potesse vivere nel sorriso di quella strana sacerdotessa dai capelli biondi conosciuta per caso in una notte d’estate, quando le stelle sussurravano le melodie della vita. Credevo di poter creare qualcosa di unico per quell’amore, delle mura per crescerlo, dei libri per coltivarlo, avevo lasciato che la clessidra del mio cuore girasse in avanti, sempre in avanti. Anche adesso gira in avanti. Le mie dita reagiscono prima ancora degli occhi. I Dardi Incantati lasciano la mano e saettano oltre lo spazio, oltre noi. Quattro la colpiscono al petto, cogliendola di sorpresa; uno raggiunge la mano che stava per piantare il coltello del corpo del bambino, e l’arma cade a terra con il suo clangore metallico. Il corpo di lei lo segue. Salgo i gradini incurante del dolore. Vorrei voltarmi da un’altra parte, fingere che la clessidra non stia girando per me, ma i miei occhi si poggiano sul suo viso su cui è dipinta un’espressione di odio che nemmeno lo fiamme potranno più cancellare. È ancora bellissima. E il bambino piange. Non smette. Forse non smetterà mai. Il suo corpo è circondato da un’elaborata serie di rune tracciate col sangue sull’altare, ma il rito non è stato completato ed il teschio d’oro è freddo, come se il suo sguardo ormai sia volto altrove. Dermin sostiene che i figli di Bhaal dovrebbero comunque essere sterminati tutti, perché sono una minaccia per l’Equilibrio; le profezie di Alaundo non hanno mai sbagliato. Non ha tutti i torti, e lo so. Ma la creatura stringe di nuovo la mano intorno al mio dito ed abbozza un sorriso con le sue minuscole labbra, ed in fondo … chissene importa dell’Equilibrio!
Su Gorion avevo due fanfic in mente, entrambe comunque ambientate durante la distruzione del tempio delle sacerdotesse di Bhaal per mano degli Arpisti. Ho scelto questa perché è stata la prima a venirmi in mente e perché volevo parlare dei sentimenti di Gorion (che in ToB non vengono nominati, ma se ne accenna in BG 1 e volevo creare un ponte tra le due versioni), ma anche la seconda mi ha stuzzicata fino all'ultimo; forse quando avrò finito tutta la lista la scriverò, oppure cercherò di riciclarla per un altro personaggio. Ovviamente anche questo titolo è una citazione. Un po' tirata per le orecchie, ma mi è sempre sembrato un titolo meraviglioso e da qualche parte volevo inserirlo; pensavo a qualche bardo, ma mi sembrava sprecato per Eldoth. L'immagine del capitolo non è originale della serie ma è tratta da una fanart.
Ah, prometto solennemente che la prossima storia sarà un po' più allegra, mi rendo conto di aver scritto solo mattonate!
Personaggio: Dorn Il-Khan Genere: Introspettivo Rating: Giallo Avvertenze: ispirata alla canzone The Castle Hall di Ayreon, da cui sono tratti il titolo e la citazione iniziale. Non ho ancora giocato la quest di Dorn in BG2:EE, quindi la storia si basa esclusivamente sugli eventi del primo gioco. Le informazioni sulla madre di Dorn sono basate sul racconto ufficiale che si può leggere sul sito di BG Enhanced Edition.
“Cries from the grave resound in my ears they hail from beyond my darkest fears faces of the past are etched in my brain the women I’ve raped, the men I've slain shades of the dead are sliding on the wall demons dance in the castle hall.” (Ayreon, “The Castle Hall”)
Demons dance in the castle hall
Gli spettri prendono forma dall’oscurità. Emergono dagli angoli più lontani, dove il debole fuoco delle torce magiche non riesce a lambire il buio. Sorgono dalle fessure tra le pietre sconnesse del pavimento, scie di oscurità che si condensano pian piano in forma umana. Strisciano lungo le pareti, ondeggiano nella luce tremolante delle torce. Scivolano attorno a lui in una danza ipnotica, chiudendolo in un cerchio di ombra e sussurri. I loro occhi sono vuoti, ma Dorn percepisce l’accusa nel loro sguardo come un brivido gelido sulla pelle. Si rende conto di riconoscere la maggior parte delle apparizioni. E la cosa non gli piace affatto. Le sue dita si serrano attorno all’impugnatura di Rancor. Quando volta la testa in cerca dei suoi compagni non vede nessuno. L’atrio del castello è deserto, a parte lui stesso e le ombre. Impreca. Muove un paio di passi nel tentativo di arretrare verso l’uscita, ma gli spettri gli sbarrano la strada. Riesce a scorgere il portone oltre le loro sagome fumose, ma non è sicuro di voler scoprire cosa accadrebbe se provasse a passare loro attraverso. Impreca di nuovo. Il piccoletto è un idiota. Un pessimo leader. Ur-Gothoz è un padrone saggio oltre che feroce, e Dorn ha sempre pensato che avesse i suoi validi motivi per spingerlo a mettere la sua spada al servizio di quell’elfetto dalla risata facile. Se quei motivi ci sono, Dorn non riesce minimamente a scorgerli ora. Solo un completo idiota poteva guidare il gruppo tra le rovine di un castello infestato totalmente privo di ricchezze o oggetti magici di interesse per recuperare un bambino stupido che si è allontanato troppo da casa. Un’ombra si stacca dal cerchio, gli fluttua incontro tendendo le braccia spettrali. La sua voce è un fruscio distorto in cui Dorn non riesce a distinguere parole di senso compiuto, ma riconoscerebbe tra milioni quel viso sempre deformato dall’angoscia e dalla paura. La sua debole madre umana. Anche da fantasma la patetica donna è capace solo di piangere, come faceva ogni singolo giorno durante i lunghi anni di schiavitù nel villaggio degli orchi. La rabbia e il disgusto guidano Rancor in un fendente micidiale, e l’ombra della donna si dissolve in tanti filamenti di oscurità che si disperdono tra le crepe del pavimento. È come un segnale per gli altri spettri, che si gettano su di lui all’unisono. Li falcia uno dopo l’altro con soddisfazione feroce. Senjak e il suo ghigno arrogante, Dorotea la doppiogiochista, quel bastardo di Simmeon che ha ordito il complotto ai suoi danni. I contadini e le madri di Barrow che implorano invano pietà per i figli. Rancor si nutre con avidità dell’essenza degli spettri, e offre al potente Ur-Gothoz il loro odio e il loro dolore come glorioso tributo. Ogni tanto una delle figure nebulose riesce a toccarlo, e allora una scossa gelida gli si propaga lungo tutto il corpo, lasciandogli dentro un senso di vuoto. La massa di ombre sembra non finire mai. Sono così tante le persone che ho ucciso… ? Un tocco è diverso dagli altri. Tiepido anziché gelido, una carezza che gli riporta alla mente sensazioni dimenticate. Si volta, e la vede. Kryll è bella anche nella morte, e a differenza delle altre ombre sorride. Un’illusione. Anche lei lo ha tradito come gli altri. Meritava di morire, e ora merita di sparire di nuovo. Lo spettro di Kryll è rapido ad insinuarsi fino a lui nell’attimo fatale in cui Rancor esita. Dorn si sente avvolgere in un manto di ombre, e fa per divincolarsi. Ma non sente dolore. L’abbraccio dell’ombra ha lo stesso profumo della pelle di Kryll nelle notti estive, dell’erba umida in cui i loro corpi si rotolavano nell’abbraccio del desiderio sotto lo sguardo benevolo delle stelle. La vita era più semplice allora. I bivacchi attorno al fuoco, la sicurezza di poter dormire indisturbato perché c’è un compagno a guardarti le spalle. I combattimenti schiena contro schiena, la spartizione del bottino, i boccali schiumanti durante i brindisi in taverna. Nessun padrone demoniaco che ti sibila le sue volontà imperscrutabili nella testa, e un corpo caldo che cerca il tuo con desiderio, senza curarsi che il collo su cui sta tracciando una scia di baci appartiene a un mezzosangue, un mezzorco disprezzato da tutti. Kryll gli circonda il viso con le mani e lo stringe a sé. Dorn sente che le sue dita abbandonano la presa su Rancor, ma non si ribella. Va bene così. Le gambe gli cedono, la testa si svuota. Se solo potesse fermarsi un attimo a riposare… Un sibilo acuto squarcia l’oscurità, seguito subito da un secondo, poi da altri ancora. Cinque dardi rossi luminosi convergono su Kryll e la fanno sparire in uno sbuffo di fumo. Le ginocchia di Dorn urtano il pavimento di pietra, e il dolore gli schiarisce la mente, riportandolo al presente. Rancor rimbalza lontano con un clangore metallico mentre le ombre si dissolvono, come spazzate via dal vento. Il piccoletto è lì, il maledetto eterno sorriso sempre al proprio posto. Sta dicendo qualcosa a proposito di un illusionista pazzo che si nascondeva tra le rovine, ma Dorn lo ascolta solo a metà. Si rialza piano, sbatte le palpebre come se non riuscisse bene a mettere a fuoco l’elfo di fronte a lui. “Tutto a posto?” domanda il piccoletto. Sembra sinceramente preoccupato. Al suo cenno d’assenso si mette in marcia verso un’arcata sulla parete sinistra. “Ottimo! Vieni, gli altri ci aspettano da quella parte! E Neera ha trovato il bambino!” Dorn segue l’elfo senza una parola, fermandosi un attimo per raccogliere Rancor. Le sue dita stringono l’elsa della spada con più forza del dovuto. Il piccoletto lo ha visto in un momento di debolezza. Dovrebbe ucciderlo solo per questo. “Dai, sbrigati, che aspetti?” l’elfo lo chiama ancora agitando una mano. Dorn rinfodera la spada, e lo segue con un sospiro. Il piccoletto in fondo non è poi un leader così terribile. Nessun capo che torna indietro di persona per recuperare i propri compagni lo è. Forse può concedergli un’altra possibilità. Forse stanotte potrà dormire con entrambi gli occhi chiusi.
Ma scusate care autrici, queste bellissime "storie" flash si possono pubblicare on-line? Io ho un piccolo blog/sito dedicato a BG ed avrei piacere di inserile in una sezione apposita, le trovo proprio sfiziose e sicuramente sarebbero dei contenuti di pregio, soprattutto per la cura con cui sono scritte!
Davvero? A me personalmente farebbe solo che piacere contribuire all'arricchimento di un sito su BG Per quanto mi riguarda certo che puoi inserirle! Anzi, sono contenta che piacciano! (e ovviamente voglio il link al sito :P)
Beh, non so che dire, sono davvero felicissima di questa richiesta! Personalmente sì, fai pure, passaci il link al sito e se ti piacciono ben venga, che un po' di pubblicità non ci dispiace affatto! Siamo sempre del parere che il fandom su BG meriti di essere più rimpolpato!
Ottimo allora! I racconti sono dei piccoli capolavori a mio modo di vedere; poi bg è un po' carente in letteratura propria e quindi il vostro lavoro è sicuramente gradito! Vi farò vedere la nuova sezione del sito in anteprima entro la fine del week end, poi vi chiederò come migliorarla! Grazie!
Eccomi. Stamattina ho prodotto. In pratica non ho fatto altro che copiare e "taggare", però la soluzione che ho individuato è perfetta, imo, per le fanfic: un blog! I racconti saranno pubblicati attraverso una pagina di blog nel sito e la pagina mi ha permesso di catalogare le storie per categorie come nome personaggio, autrice, episodio di BG (I o II). Ho mantenuto come data di pubblicazione quella del post sul forum. Sono arrivato ad Anomen compreso. Inoltre alcuni ritratti li ho cambiati rispetto a quelli qui presenti, quelli "classici" per intenderci. Ho inserito una breve "definizione" di fanfiction nella colonna deputata agli autori del blog e credo che la struttura sia apposto. Sulle autrici ho messo solo il nome, inserirei volentieri due righe che spieghino come vi siete avvicinate alla fanfic o qualcosa in merito all'argomento! L'indirizzo è http://www.blacklinx.net/fanfiction.html, attualmente i contenuti sono stati pubblicati ma la pagina non è collegata da nessun menu del sito (quindi è ancora nascosta). Una volta che partiamo metterò un link nel menu "Blog" principale. Dubbi, miglioramenti, suggerimenti, complimenti? Un sentito ringraziamento alle autrici!
Intanto complimenti per il sito, ha una grafica molto carina, poi mi piacciono molto le varie citazioni che si trovano in basso cambiando pagina Per quanto riguarda la pagina delle fanfic, trovo davvero un'ottima idea riportare al lato la descrizione del termine, che non tutti potrebbero conoscere. E adoro l'immagine di Snoopy scrittore in alto! In generale non ho proposte particolari per quanto riguarda impaginazione e tutto, penso che in effetti la soluzione del blog sia la migliore, anche perché consente di usare i tag che rendono più facile la ricerca delle fanfic secondo vari criteri. Per la descrizione delle autrici, magari provo a preparare qualcosa per la mia tra oggi e domani, ci penso un attimo e poi posto qui. Grazie davvero per il bel lavoro!! Fa un bell'effetto vederle tutte impaginate così!
Ottimo! L'immagine di intestazione la rifinisco meglio tra oggi e domani, penso che metterò la testa del drago "sopra" la vignetta di Snoopy "scrittore" per un effetto migliore. Grazie per i complimenti! Sempre tra oggi e domani copierò altre fanfic del forum, poi quando renderò visibile la pagina metterò l'articolo sul blog principale di presentazione. Ovviamente il blog è a disposizione se ci sono altri contenuti da pubblicare!!!
Un ringraziamento speciale anche da parte mia, trovo che l'impaginazione di questa pagina sia bella, piacevole e scorrevole, che sia di facile lettura a tutti e che permetta di ritrovare le storie senza andarsi ad impelagare la tante parti. Personalmente io sono per i portraits storici e non questi nuovi / modificati, perché in fondo sono quelli che ho imparato ad amare e con quelli identifico i personaggi, però de gustibus. Anche io se preferisci ti preparerò qualcosa sul mio profilo, anche se non ti aspettare nulla di eccezionale!
Personaggio: Imoen Genere: Comico, Introspettivo. Rating: Giallo Avvertimenti: ambientato anni dopo la saga dei Bhaalspawn. Tutto origina da una lunga serie di dialoghi deliranti tra Neera e Imoen.
Pink and red
“Va bene, ripassiamo il piano …” sussurra Neera appoggiandosi allo stipite della porta. “Ehm … ti ricordo che non abbiamo un piano …” Un uomo esce dalla stanza accanto, totalmente nudo. Viene nella nostra direzione barcollando come se avesse ingerito tre pinte di birra –ma a giudicare dall’alito direi anche cinque o sei- ma prima che possa rivelare la nostra presenza lo silenzio con un incantesimo. La bocca gli si impasta e cade a terra, e dopo nemmeno un minuto una delle cortigiane del Diadema di Rame esce dalla stanza da letto e lo riaccompagna gentilmente dal luogo dove è venuto. Nel corridoio torna il silenzio. La mia amica ha l’orecchio incollato alla porta e mi fa un cenno affermativo. Mi avvicino alla serratura e faccio per scassinarla, ma lei mi allontana. “C'è un solo modo per aprire una porta!" Mi butto a terra appena la sua mano si illumina di rosso, sapendo che trovarsi vicino a Neera quando si immerge nella sua magia selvaggia non è la cosa più intelligente da fare. La palla di fuoco esplode contro la porta che si carbonizza all’istante in una nuvola di fumo nero e scintille; non faccio in tempo ad alzarmi in piedi che la mia amica è già entrata con un salto. “EDWIN ODESSEIRON, SEI IN ARRESTO!” E fu così che svegliammo tutta la taverna … Entro nella stanza cercando di respirare il meno possibile, e quando mi porto accanto alla mia compagna di avventure cerco di non ridere alla vista dello sguardo a metà tra lo sbigottito ed il furioso della nostra vittima che ci fissa dal letto mentre la sua compagna di lenzuola –una ragazza dalla lunga chioma nera- rotola per terra nascondendosi dietro una cassapanca. Neera punta il bastone nella sua direzione, e mi fa un colpo di tosse per ricordarmi che è il momento della mia battuta. “L’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa è venuto fin qui per punirti dei tuoi crimini!” “Ma guarda chi si rivede, la maghetta selvaggia e la figlia di Bhaal in persona (non si può più nemmeno andare in un bordello in santa pace al giorno d’oggi …)” borbotta portando le mani in alto. Il suo tono è sempre pungente nonostante gli anni, ma la sua voce trema un po’ per l’indecisione. O la sorpresa. Sono sette mesi che gli diamo la caccia. “Immagino siate qui per quella questione degli esperimenti sui maghi selvaggi. Beh, sappiate che non c’entro nulla con quella storia (o quasi, ma suppongo che spiegare a questi due babbuini la differenza tra suggerire un paio di test e eseguirli vada oltre i limiti della loro intelligenza …)”. Tanto dicono tutti così. Tutti scaricano le responsabilità a qualcun altro, tutti rimandano alle autorità superiori, al grande enclave dei maghi rossi, a chiunque abbastanza potente da sfuggire alla nostra organizzazione. Negano, nascondono, tradiscono i loro compagni, più passa il tempo e più i maghi di Thay mi danno il voltastomaco con i loro modi viscidi ed il denaro che fanno scivolare tra le tasche di un consigliere e l’altro per coprire i loro sporchi esperimenti. Per questo io e Neera abbiamo deciso di cambiare le cose a modo nostro, senza coinvolgere mio fratello o gli altri nostri vecchi compagni di viaggio –certo, l’Ordine sarebbe molto più vasto se Neera non avesse deciso che tutti i membri debbano tingersi i capelli di rosa- in nome di qualcosa che è difficile spiegare se non vi si passa attraverso. La notte, quando chiudo gli occhi, sento ancora gli incantesimi di Irenicus su di me, i suoi occhi, il modo in cui mi guardava quasi come fossi nulla più di una cavia mentre in sottofondo riecheggiavano altre urla senza corpo, le voci dei prigionieri di Spellhold a cui tutto veniva sottratto. In quel momento avrei dato l’anima perché qualcuno venisse a prendermi, fossero state anche due ragazze strampalate dai capelli rosa e nessun piano in mente. Io sono stata fortunata. “Inutile negare, Edwin!” tuona Neera, ed in quel momento il suo bastone si illumina di mille piccole sfere scintillanti. “Preparati ad un bel viaggetto di sola andata, Telana ha già preparato il comitato di ricevimento! Un bel processo è proprio quello che ci vuole per la tua faccia di bronzo!” Il mago di Thay fa per sollevarsi dal letto e buttarsi a terra, ma l’attimo successivo tutta la stanza è illuminata da una luce chiara ed accecante, che non ha nulla a che vedere con i normali incantesimi di teletrasporto. Mi ritrovo con la faccia sul pavimento della stanza per la seconda volta negli ultimi cinque minuti e già sto per festeggiare con la mia compagna quando mi accorgo che la sua figura è sparita. Non un lembo di vestito, nemmeno un capello svolazzante o bruciacchiato. Al suo posto trovo soltanto una pianta non più alta del mio palmo. Un cactus. Rosa. Con tanto di sottovaso. “Ehm … Neera?” Non riesco nemmeno ad avvicinarmi alla pianta che Edwin raggiunge la porta con solo un salto –come avrà fatto a rivestirsi in quei pochi secondi di tempo lo sa soltanto Elminster- ed imbocca l’uscita in uno svolazzare di tunica scarlatta. “Sempre sia ringraziata la magia selvaggia!” lo sento gridare, ma l’attimo successivo anche i suoi passi sulle scale di legno della locanda non sono diventati altro che lievi scricchiolii e nascondono qualsiasi altro brontolio. Prendo in mano quello che resta della mia compagna d’avventure e per tutto ringraziamento mi pungo anche un dito. “E come al solito toccherà a me spiegare tutto ad Adoy …” Piccoli incidenti di tutti i giorni per l’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa.
voilà, io ho finito: http://www.blacklinx.net/fanfiction.html sono aggiornato ad Imoen, care autrici la sezione è venuta molto bene. Ho cambiato alcuni ritratti, sugli ultimi mi sono "tenuto" (su Gorion c'era anche l'opzione con i libri della biblioteca alle spalle mmmm). Non appena avremo un paio di righe su whitemushroom & Lisaralin direi che si può rendere pubblico mettendo il link sul menu e la notizia sul blog... secondo me qui ci viene bene anche un ebook mumble mumble mumble....
Salve a tutti, sono whitemushroom. Tenterò di essere sintetica, ma non è esattamente la mia dote principale. Sono un tipo piuttosto taciturno, con molte più idee e sogni nella testa di quante riesca oggettivamente a scriverne. Buttare giù delle fanfiction mi aiuta a esprimere me stessa ed a rilassarmi: non credo mi riesca divinamente, però mi piace. Si dice che ciascuno di noi abbia dentro un universo, e scrivere sia il modo migliore per farlo uscire fuori. Nel mio caso più che un universo c'è un Maelstorm, ma non si può avere tutto dalla vita. Oltre a scrivere mi piace leggere romanzi e manga, ma anche disegnare -non mi riesce gran che bene, quindi da un po' di tempo ho messo da parte le matite ed il mondo ha tirato un respiro di sollievo- ma in generale adoro tutto ciò che non comporti lavorare, studiare e faticare. Nella vita reale faccio la dentista, ma se potessi campare con i miei sogni e ciò che scrivo sarei la persona più felice del mondo -e sì, magari il vostro dentista di (s)fiducia sotto il camice ha un cuore che batte quando sente nominare Baldur's Gate e non solo quando vi estrae i denti- ma purtroppo ciò è impossibile. Con Lisaralin formo un bellissimo due scrittorio e non (cavoli, sono 26 anni che ci conosciamo, dovremmo festeggiare le nostre nozze d'argento) che spero continui per sempre! Di solito duettiamo in fanfiction crossover molto più lunghe e di ampio respiro, ma di recente abbiamo scoperto quanto sia divertente cimentarsi in storie brevi dedicate a singoli personaggi. Se dovessi fare la lista di tutto ciò che amo occuperei tutto lo spazio concessomi da BlackLinx e dilagherei anche in quello destinato a Lisaralin, quindi direi di darci un taglio. Per tutti coloro che hanno avuto la bontà di leggere questo trafiletto, chiedo gentilmente di adocchiare le nostre fanfiction e se possibile lasciarci un commento, anche se negativo: non tanto per chissà quale motivo, ma per fomentare il mio Ego smisurato! XD XD Poiché suppongo che non vi interessi particolarmente sapere il mio segno zodiacale, i miei animali domestici, la mia famiglia ed i miei gusti musicali penso che con questo è tutto, passo e chiudo. Un salutone a tutti,
whitemushroom, white per risparmiare sui caratteri e sul fiato
Io me la cavo con meno caratteri, soprattutto a causa della mia pigrizia XD Ecco qua la mia piccola presentazione e scusa per il ritardo @Blacklinx !
Amante dei cieli azzurri e delle dormite sui prati, ottimista di natura, scrivo per passione e per dare vita alle immagini della mia fantasia (che restano sempre e comunque più belle della loro trasposizione su carta, ma pazienza!). La mia scintilla creativa brilla più intensa se alimentata dalla fiamma di una scintilla gemella: creare una storia per me significa soprattutto condividere, costruire qualcosa insieme e avere un progetto comune. Oltre ad essere divertente è anche un ottimo modo per cementare un'amicizia! Di recente ho anche cominciato a inventare non solo fanfiction ma personaggi e mondi totalmente miei, ma questa è un'altra storia, o forse lo sarà un giorno...
Ottimo! Aggiorno il fanblog e pubblico!!! Ci risentiamo la prossima settimana, questo week-end fermo gioco e lavori: devo portare il piccolo Blacklinx nel suo primo viaggio in treno, anche questa sarà um'avventura! Grazie a tutte :-P
Personaggio: Xzar Genere: introspettivo Rating: verde Avvertimenti: per una volta credo nessuno XD
Gioco di squadra
“Sua Maestà è davvero incontentabile oggi!” Il calcio di Xzar manda all’aria un mucchio di ciottoli e solleva un velo di polvere grigia nel vicolo sudicio. Halfling insulso e supponente! Ridicolo scherzo della natura! È solo colpa sua se sono rannicchiati in quel lurido covo di ratti da più di due ore senza riuscire a venire a capo di nulla. Colpa sua e della sua testardaggine malfidata. “Potresti proporre qualcosa anche tu visto che non ti sta mai bene niente!” sbuffa il necromante, e senza attendere risposta sporge di nuovo la testa oltre l’imboccatura del vicolo per spiare il loro obiettivo. All’apparenza è un edificio come tanti altri, in tutto e per tutto simile alla sfilza di anonimi magazzini e botteghe che lo circondano, ma Xzar sa che irrompere lì dentro senza un piano più che solido equivarrebbe a scoperchiare il sarcofago di un lich senza prima lanciarsi una protezione contro la non-morte. “Altrimenti potremmo fare così” continua dopo una breve pausa, gli occhi sempre fissi sull’edificio arancione: “Tu ti infiltri passando per le fognature. No, niente proteste! È un luogo molto più adatto a te che a me. Poi una volta dentro rompi i sigilli di protezione con una pergamena che ti scriverò io, e a quel punto, zac! Gli spedisco una bella orda di ghoul dritta dritta attraverso il portone principale… “ Un piano geniale, Xzar ha tutto il diritto di complimentarsi con se stesso. Peccato solo che il silenzio dell’halfling alle sue spalle sia carico di disapprovazione. “Ti avverto Montaron, comincio davvero a seccarmi.” Si siede su una vecchia cassa sfondata, probabilmente abbandonata lì da parecchio tempo a giudicare dal legno marcio, e si massaggia le tempie con le dita. Se solo quel maledetto ladruncolo da tre soldi collaborasse… “Puoi aspettare che uno di loro metta il naso fuori” tenta ancora dopo qualche minuto, ma il suo tono di voce ormai è privo di convinzione. Sa già come andrà a finire quel discorso. “Gli rubi il medaglione, poi io entro con qualche incantesimo di camuffamento e… “ … e allora la morte distruttrice di mondi calerebbe su quei maledetti Arpisti! Xzar non dà voce al suo pensiero. Rimane a lungo con la fronte tra le mani, inseguendo il labirinto di idee che si aggroviglia dietro le sue palpebre chiuse come una trama di fili colorati e sfuggenti, impossibili da afferrare. Appena gli sembra di stringerne uno tra le dita quello si scioglie in mille rivoli luminosi e si dissolve nel buio, prendendosi gioco di lui. Non gli era mai capitato di sentirsi così impotente. Alla fine alza gli occhi verso il fondo del vicolo, dove le ombre si addensano più fitte. “In pratica mi stai dicendo… che senza il tuo aiuto non sono capace di fare niente?” Gli rispondono solo il silenzio della sera e un improvviso soffio di vento che spazza il vicolo vuoto, facendogli ondeggiare il mantello e i capelli. Userebbe quell’halfling insolente come bersaglio di allenamento per i suoi dardi incantati se solo potesse mettergli le mani addosso. Se solo non avesse maledettamente ragione. Xzar sospira e infila una mano nella bisaccia, estraendo una gemma rossa dalla superficie liscia e sfaccettata. La primissima refurtiva di Montaron, un rubino abilmente sottratto alla collana di una dama facoltosa ai tempi in cui era ancora un cucciolo di halfling appena in grado di camminare. O almeno questa è la storia che il furfante racconta sempre per spiegare l’origine di quello che definisce il suo “talismano portafortuna”. Xzar ha trovato il gioiello due giorni prima abbandonato nella polvere davanti al palazzo degli Arpisti, e non ha avuto bisogno di altre prove per capire che la missione di infiltrazione del compagno è fallita miseramente. “Ma ora io devo pur trovare un modo per tirarti fuori da lì, dannazione!” Il rubino sembra sorridere dal palmo della sua mano, accarezzato dagli ultimi raggi del sole morente che lo fanno risplendere di bagliori rossi. Gli occhi di Xzar vengono catturati dallo scintillio e lo seguono oltre il vicolo, nello spiazzo antistante il palazzo arancione, dove proprio in quel momento sta passando un gruppo di persone dall’aspetto esotico. Il necromante trattiene il respiro. Forse Montaron per una volta non ha esagerato. Forse quel gioiello porta davvero fortuna. I bagliori cremisi danzano come lingue di fiamma tra i capelli dorati del giovane elfo che ha appena varcato la piazza insieme al suo seguito di compagni. Xzar riconoscerebbe quel piccoletto tra mille: il ragazzino prodigio di Candlekeep, l’unico avventuriero nella Costa della Spada che scomoda il suo gruppo per correre al salvataggio di vedove e orfani senza certezza di ricompense… Le sue labbra si piegano in un sorriso: “Lo dici sempre anche tu Montaron che il modo più sicuro per ottenere qualcosa è far lavorare un altro al posto tuo… “ In due passi abbandona il vicolo, emergendo dalle ombre. “Ehi voi! Un attimo della vostra attenzione, per favore…. “
Mi è venuta un'idea su Coran. Pensavo sarebbe stato impossibile, ma ce l'ho fatta.
Personaggio: Coran Genere: Comico, Introspettivo, Missing Moments. Rating: Giallo virante sull'arancione. Avvertimenti: nessuna, a parte aver sforato il limite delle parole oltre ogni decenza
Overwolf
Ascolto il suo respiro con attenzione, tuffandomi nel buio della stanza di questa squallida locanda di Waterdeep. Il suo corpo nudo è stretto al mio, nascosto sotto le lenzuola ruvide e ancora impregnate del nostro odore; mi muovo leggermente tra una piega e l’altra mentre il fiato di Lanfear è sempre più profondo e sta guidando la sua padrona verso sogni di miele, danze e piacere. E di me, chissà. Scivolo giù dal letto e mi rivesto senza fare alcun rumore: alcuni pensano che sia soltanto la mia natura elfica a rendermi così silenzioso, ma evidentemente non sanno che nel tipo di vita che pratico io quello che conta di più è l’esperienza. Le donne hanno un odioso sesto senso quando si tratta di gente che si muove accanto al loro letto. La nottata non è stata delle migliori, ma devo ammettere che da quando ho conosciuto leitutte le altre donne sono troppo alte o troppo basse, troppo grasse o troppo piatte, ed i modi bruschi e l’alito impregnato di birra rendono Lanfear un’amante mediocre, una distrazione in cui immergersi solo perché ha qualcosa di molto, molto interessante e non è ciò che nasconde tra le gambe. La sua sacca è lì, per terra, proprio accanto al corpo addormentato. Trattengo il fiato e mi accuccio sulle assi di legno, controllo una terza volta il suo respiro e poi la mia mano scivola nel contenitore di cuoio fino a sentire la rassicurante forma di un sacchetto pieno zeppo di monete d’oro avvolto con cura in un involucro di stracci per non far sfuggire nemmeno un tintinnio. Un’idea degna di me, lo ammetto. Quante ce ne saranno? Cento? Duecento? Sicuramente abbastanza per comprare quella bella collana d’oro che starebbe benissimo sul collo di … “Chi è Safana, tesoro?” Qualcosa mi stringe il polso, ed il sacco con il suo prezioso contenuto rotola a terra in barba alla segretezza. D’istinto estraggo il pugnale con la mano libera e affondo in avanti, ma un dolore mi sale lungo l’altro braccio e perdo la presa sull’arma rovinando a terra. Cerco di sollevarmi, ma come risultato vengo scaraventato a terra con l’orripilante certezza che ciò che sta stringendo il mio polso come una morsa è la mano di Lanfear. Un barbaro mezz’orco sarebbe più delicato. “Credevo fossi innamorato di me, Coran”. “Ehm … come dire …” quello era il momento di una bella battuta. O di una qualche frase intelligente che mettesse in crisi la donna. O di una scusa plausibile. Ne aveva inventate più di quante sapesse contare, ma mai in situazioni così estreme come una stretta mortale e la sensazione che qualcosa stia andando per il verso storto. “Credo … che ci sia stato un malinteso, io …” “Non te lo ripeterò un’altra volta. Chi è questa Safana? E cosa ci fai con le mani nei miei soldi? Maledizione alla mia linguaccia. Aveva ragione quell’elfa Arpista quando mi disse che prima o poi mi avrebbe messo nei guai. Ed ovviamente, proprio quando mi serve, la mia linguaccia a bella posta decide di appiccicarsi sul pavimento della bocca e far uscire dalle mie labbra solo qualche suono inarticolato, che ovviamente non basta per trattenere la sua furia. Per un attimo ho come l’impressione che le unghie della sua mano stiano diventando più lunghe e taglienti. “Un vero peccato, amore mio. Se non posso averti tutto per me …” L’impressione si trasforma in un’atroce certezza, perché l’attimo dopo le sue ginocchia si piegano e la schiena massiccia –ma come poteva pensare che facessi sul serio con un corpo sgraziato come quello?- si arcua. China il viso verso di me, e se prima di questa nottata aveva ancora qualche lineamento umano questo sparisce per trasformarsi in un muso allungato che mi fa rimpiangere l’alito pieno di birra di cui mi ero lamentato fino a qualche istante prima. Anche perché quella che spunta dal retro delle sue gambe è palesemente una coda. “… potrei comunque impiegarti come spuntino …” Normalmente in queste situazioni mi chiedo per prima cosa quanto idromele io abbia ingerito ieri sera, ma per qualche strano motivo il dolore che adesso è salito fin sulla spalla mi suggerisce di non pensare a questi dettagli e di concentrarsi su cose più urgenti. Tipo portare tutti gli arti lontano da questa stanza nei prossimi trenta secondi. Continua a stringere, forse i suoi occhi gialli stanno pregustando come gustarsi il mio braccio una volta che l’avrà strappato dal resto del corpo; sono quasi a terra quando la mano libera incontra l’unica possibilità di salvezza. “Mettiamola così, Lanfear …” mormoro, sapendo che non avrò una seconda possibilità. “Non sei esattamente il mio tipo!” Le monete d’oro impattano proprio sul suo muso. Il licantropo manda un verso, impreparato alla mia reazione, e per sicurezza le scaglio di nuovo un altro po’ di quel ben di Helm proprio contro gli occhi. Ulula come se qualcuno le avesse pestato la coda, ed è il mio momento. La sua stretta si allenta il tempo necessario per scivolare da quella posizione, rialzarmi e gettarmi contro la finestra. “DETESTO LE DONNE PELOSE!” Atterro nel fango del vicolo in un’esplosione di pezzi di vetro. Ho fatto bene a scegliere una stanza al primo piano. Lanfear manda un verso così profondo che richiamerà tutte le guardie della città, e per il momento la cosa più importante è correre il più lontano possibile da quella pazza scatenata e cercare un modo per lasciare Waterdeep prima che riesca a mettersi sulle mie tracce. L’unica consolazione è che in tutta questa storia posso mettermi una mano in tasca e trovarla un po’ più piena di ieri mattina, perché non potevo mandare sprecato tutto quell’oro. Safana avrà la sua collana, ed io avrò … beh, avrò pur diritto alla mia ricompensa, no?
Anche io ho avuto un'idea per un personaggio che credevo mi avrebbe messa in crisi:
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Personaggio: Garrick Genere: introspettivo, missing moments Rating: verde Avvertenze:Sängerkrieg in tedesco vuol dire "gara dei cantori". Il termine è tratto dall'opera di Wagner Tannhäuser, incentrata appunto su una competizione tra poeti. L'idea per la storia mi è venuta da lì.
Sängerkrieg
Le ultime note della melodia di Eldoth si perdono in una raffica di applausi. Il bardo si inchina per ricevere l’ovazione del pubblico e lancia un bacio sulla punta delle dita a Skie, che batte le mani e sorride dal suo posto di giudice, dietro al bancone della taverna. Garrick detesta ammetterlo, ma il suo rivale è davvero bravo. È quasi impossibile seguire le sue dita mentre danzano leggere tra le corde del liuto, intessendo una corrente spumeggiante di musica che si avvolge in spire vivaci attorno alla sua voce calda e appassionata per dare vita a ballate di avventura, amore e battaglie. Persino lui è tentato di applaudire, da intenditore che sa riconoscere della buona musica quando la sente. “Ehi, fiorellino! È il tuo turno adesso!” La voce di Eldoth, così gradevole nel canto, è sempre carica di scherno quando si rivolge a lui. Garrick deglutisce, consapevole di avere gli sguardi di tutti puntati addosso. Pian piano il brusio nella sala comune si spegne di nuovo. Garrick armeggia con le corde della cetra, tenta di accordarle con le dita che tremano leggermente. Prende tempo. Da lontano, Skie gli sorride in segno di incoraggiamento. L’idea della gara è stata di Eldoth, ovviamente. Così come quella di disputarla in pubblico, e precisamente nella taverna più affollata di Baldur’s Gate. Garrick si è lasciato trascinare attratto dal premio in palio per il vincitore, un bacio di Skie, ma ora, seduto al centro della sala con la lingua incollata al palato e la gola secca, non è più tanto sicuro che sia stata una buona idea. Il silenzio si protrae, e il pubblico inizia ad agitarsi. “Che aspetti?” lo incita qualcuno. Garrick chiude gli occhi. Accarezza le corde per aiutarsi a trovare la concentrazione, pur non traendone alcun suono. Non conosce ballate emozionanti come quella cantata da Eldoth o, se le conosce, non gli vengono in mente. Per la verità al momento non gli viene in mente proprio nulla. Nulla tranne il sorriso di Skie, che emerge dal buio dietro le sue palpebre chiuse. Garrick si aggrappa a quell’immagine, tenendo gli occhi serrati per non farla fuggire via, e finalmente pizzica le corde traendone un primo, esitante accordo. Le prime note scaturiscono lievi e pure dalla cetra. Si impongono sul rumoreggiare dei presenti, che a poco a poco tace. Il pubblico è di nuovo tutto per lui. Garrick prende fiato, e si getta a capofitto nel vortice della musica. Improvvisa. Le note salgono e scendono, disegnano un’armonia morbida come il profilo delle colline di cui parla la sua canzone. Scorrono leggere come ruscelli, si sfilacciano nell’aria come brandelli di nuvole. La sua voce canta di giornate di sole, di cieli azzurri di primavera e prati bagnati di rugiada. Canta di quanto sia bello assopirsi nell’abbraccio del sole e lasciare le proprie preoccupazioni volare lontano insieme al vento. Qualcuno, forse Eldoth, ridacchia alle sue spalle. “Che canzone infantile!” Garrick non ci fa neanche caso. Continua a tenere gli occhi chiusi e si lascia guidare dalla musica. È la musica a condurre lui. Lui, il bardo, non la sta creando. La sta solo scoprendo, rivelandola nota dopo nota. Solo quando l’ultimo accordo risuona nella stanza e sente il pubblico applaudire si azzarda ad aprire gli occhi. E si ritrova davanti Skie, in piedi a pochi passi da lui. Ha gli occhi lucidi. “Hai… hai cantato di tutto quello che sognavo quando ero rinchiusa nel palazzo di mio padre” la voce della giovane trema per l’emozione: “Le cose belle che vedevo dalla mia finestra e non potevo raggiungere. La libertà… “ Garrick trattiene il fiato quando lei gli sfiora la guancia con il dorso della mano e avvicina le labbra alle sue. “Merita il premio chi sa vedere con occhi così puri la bellezza del mondo.” Mentre Skie lo bacia Garrick scorge dietro le sue spalle l’espressione furibonda di Eldoth, e si compiace dentro di sé. A sfuggire alla vendetta del rivale penserà dopo. Comunque vadano le cose, vale la pena rischiare la vita per un bacio di Skie.
Avevo varie idee su Sarevok, ma rivedendo meglio la sua biografia ho puntato su questa. Non è scritta nel migliore dei modi, ma più di così non riesco a fare.
Personaggio: Sarevok Anchev Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments. Rating: Giallo Avvertimenti: il nome della madre adottiva di Sarevok è di mia invenzione.
Son
Un colpo. Un secondo colpo, poi un grido ed infine un ultimo colpo. Dovrei andarmene di qui, se Rieltar sapesse che sono entrato di nascosto nella sua ala privata della villa … ma le mie gambe sono come inchiodate, bloccate dalle grida disumane che sento oltre la massiccia porta di quercia che mi separa dal mostro. Poi la porta si apre, e per quanto sappia benissimo chi è la figura che ne sta uscendo mi accosto contro una parete, tuffandomi nelle ombre. Ma non posso ingannare Edya troppo a lungo. “Sarevok, che stai facendo qui? Non dovresti essere a letto?” Cerca di nascondere il pianto nella sua voce. Lo fa sempre quando si trova in mia presenza. Ma anche nella debole penombra del corridoio riesco a vedere la sua mano scivolare sul viso, quasi a coprire i segni che quel bastardo le lascia addosso. Ma io li vedo. Le sue esili spalle si stringono, perché sa che la sto guardando e questo non avrebbe mai voluto che accadesse; viene verso di me, e le nostre mani si trovano.
“Perché non te ne vai via di qui?” Alla domanda Edya fa un sorriso triste e china la testa. I suoi capelli color rame sono bellissimi, e quando accende la candela accanto al mio letto risplendono di una luce meravigliosa che fa sparire anche quella che nasce dalla sua collana d’oro. Il suo viso scintilla per l’unguento che il chierico le ha portato, ma non riesce a celare i due lividi viola che sono sbocciati sotto il suo occhio destro e che lei prova nervosamente a nascondere passandoci davanti ora l’una, ora l’altra mano. Cerco di guardare altrove, so che le faccio del male, ma non ci riesco come vorrei. "È … complicato. Quando sarai più grande lo capirai, tesoro mio”. “Ma io sono già grande! Ho undici anni, ed il maestro Winski ha detto che non ha mai visto nessuno usare la spada bene come me! E continuo a non capire perché non te ne vai, Rieltar …” “Non Rieltar”. Mi corregge, e prova a sorridere mentre i suoi occhi piangono. “Padre”. No. Quello lì non è mio padre. Gli piace farsi chiamare così, questo lo so, gli piace sentire il suono di quella parola da me e contemplare il mio sguardo adorante mentre mi mostra le ricchezze della “nostra” famiglia e gli uomini che si uccidono semplicemente per un suo ordine o per raccogliere al volo le briciole che cadono dalla tavola del signore del Trono di Ferro. Gli piace ricordarmi su che gradino ha messo me, il piccolo orfano dalla forza straordinaria che senza di lui non sarebbe nulla, e quello adora ricordarmelo più di ogni altra cosa quando lo accompagno in carrozza per le strade di Baldur’s Gate e mi indica i bambini che chiedono l’elemosina. Una volta ha dato ordine di calpestarne uno sotto gli zoccoli del cavallo. Mi ha sorriso per tutto il pomeriggio. Edya mi rimbocca le coperte e fa scivolare una mano tra i miei capelli. Anche lei non è la mia vera madre. Ma la sua voce è così bella e le sue mani così gentili che ogni tanto me ne dimentico, soprattutto quando facciamo delle battute sulla barba del maestro Winski e su tutti quegli ambasciatori grassi e viscidi che visitano questa villa praticamente ogni giorno. Viene sempre a vedere i miei allenamenti, e dice che un giorno sarò il suo cavaliere, il più potente di tutti, più forte di qualsiasi paladino dell’Ordine del Cuore Radioso. Non ho mai capito perché abbia sposato Rieltar. “C’è una cosa che devi capire, Sarevok. Una cosa che anche i grandi sapienti spesso non riescono a cogliere” mormora, quasi in risposta ai miei pensieri. “Le donne fanno cose molto stupide quando sono innamorate” . Si solleva dal letto, e si accomoda le pieghe del vestito prima di chinarsi su di me. Le ho già detto una volta che ormai sono grande per queste cose, ma stasera il suo bacio sulla guancia mi fa stranamente piacere, anche se è umido delle sue lacrime. “… e poi se me ne andassi sarei costretta a lasciare qui la cosa più bella che gli dèi mi abbiano lasciato”. Ci sono tante cose che adesso vorrei dirle. “Non diventare come lui, Sarevok. Non diventarlo mai”.
Scusate il doppio post, però avevo avuto un'idea su questo personaggio proprio ieri mentre lavoravo! Temevo che su di lui l'ispirazione avrebbe latitato almeno fino all'estate, invece sono piuttosto soddisfatta dell'idea che mi è venuta. Spero piaccia a tutti e nel frattempo buon Primo Maggio!
Personaggio: Keldorn Firecam Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments. Canon. Rating: Giallo Avvertimenti: ambientato anni dopo Throne of Bhaal
Winds of Winter
La luce scintilla lungo il costone di ghiaccio, un fascio abbagliante degno della grandezza di Torm. Gli ultimi raggi del giorno dipingono nella neve delle figure rosa che danzano nel vento gelido, si riflettono sulle nostre armature e volano fino alle vette più alte dei Picchi del Sogno. Tra poco calerà la notte, ed il freddo che già scivola sulle nostre schiene diventerà un gelo implacabile che si farà beffe delle pellicce di lupo o di orso ed entrerà nelle nostre bocche fino a giungere al cuore. I guanti di Lord Ryan non sono bastati a proteggere le mani consumate dagli anni, e adesso due dita sono sepolte chissà dove nella neve. Oltre il vento e il ghiaccio non c’è altro che un bianco senza fine, ma non posso farmi illusioni. I giganti stanno aspettando, e sanno. Sanno che siamo pochi. Non abbastanza per resistere alla loro furia. Le mie dita cercano Carsomyr, e la gemma rossa incastonata manda un calore piacevole attraverso tutta l’elsa. Ma forse è soltanto un’illusione. Ne studio la forma, sento le decorazioni leggere sotto il mio palmo, cerco il potere dei draghi di cui tanto i bardi hanno cantato, anche se mi risponde soltanto il freddo che mi stringe polmoni e dilania quelli dei miei compagni. Questa spada è nelle mani sbagliate. Quello tra le mie mani è un misero tepore davanti alla luce che sprigionava quando il figlio di Bhaal la impugnava contro lich, draghi e Occhi Tiranni, un bagliore che al mio sguardo era il segno della differenza tra gli dèi e gli uomini. È stato lui a portarmela nemmeno due mesi fa, alla vigilia della mia partenza. Gli anni iniziano a toccare anche il suo viso, eppure non sono nulla rispetto alle rughe intorno ai miei occhi. Avrei voluto chiedergli di venire con noi in ricordo dei vecchi tempi e nel nome del Cuore Radioso, ma non ne ho avuto il coraggio: la sua maga selvaggia è sparita per l’ennesima volta, e leggevo il suo nervosismo mentre riempivamo di buon idromele i nostri boccali. Non abbiamo rievocato i tempi andati, né i combattimenti schiena contro schiena davanti a torme di orchi o le fiamme dei draghi mentre cercavano di prendere le nostre vite col fuoco e con le zanne. Abbiamo parlato dei nostri errori. E di Ajantis. Nella vallata i giganti si preparano. Le loro voci scuotono le vette, un grido di battaglia fa scivolare una lastra di ghiaccio poco lontano dal nostro accampamento, ed una cascata di schegge sale davanti ai nostri occhi mentre riempie il passo innevato che ci separa dagli invasori. Sappiamo tutti e sei che i rinforzi dell’Ordine non arriveranno prima di tre giorni. “Lord Keldorn …” mormora il chierico Vemen, forse l’unica persona più anziana di me. “Ha preso in considerazione l’idea della ritirata? Lathander insegna che c’è onore anche per chi indietreggia, e voi non lo fareste certo per mancanza di coraggio”. “Qui non si parla di coraggio. Si parla di fare il proprio dovere fino alla fine. Se i giganti dovessero raggiungere i villaggi oltre le montagne non potrei mai perdonarmelo. Ho commesso abbastanza errori nella mia vita, Vemen” mormoro accarezzando l’elsa dorata “… non credo che sarei in grado di sopportarne altri”. Era mia la spada che trafisse il petto di Ajantis. Ed erano mie le mani che la estrassero in preda al panico quando i lineamenti dell’orco che avevo abbattuto in nome di Torm si trasformarono in quelli del mio apprendista sfigurati dalla smorfia di dolore proprio mentre l’incantesimo delle colline di Windspear portava via da me il suo ultimo sguardo. Potrei combattere i giganti per tutta la vita, ma le loro spade non cozzeranno mai con la stessa forza di quel giorno che ancora adesso mi sembra di sentir rimbombare nel fondo della mia mente quando la terra annuncia l’avvicinarsi dei nostri nemici. Nessuno di noi abbandonerà questo passo. Forse perché tutti abbiamo qualcosa di amaro nel profondo del cuore, qualche fantasma che ci insegue quando chiudiamo gli occhi o lanciamo occhiate di sfuggita a questa landa desolata. Nessuno chiede, perché in fondo tutti sappiamo. I giganti iniziano a suonare i loro corni. “Alla battaglia! Senza rimpianti!”
Personaggio: Yoshimo Genere: introspettivo, drammatico Rating: giallo Avvertenze: non ho saputo resistere e mi sono basata sulla prima "stesura" di BG2, poi eliminata dalla versione finale del gioco, in cui Yoshimo era il fratello di Tamoko e cercava vendetta per la sua morte. Nella storia sono presenti quindi alcuni elementi in contrasto con la versione definitiva della storia di Yoshimo nel gioco canonico. Anche stavolta il titolo si rifà a una canzone di Ayreon: siete autorizzati ad accusarmi di monotonia XD
“But as I poise on the edge of life where time disappears I bow in fear to the charm of the seer.” (Ayreon, “The Charm of the Seer”)
The charm of the seer
Il Figlio di Bhaal urla di dolore, contorcendosi disperatamente tra le sbarre della gabbia mentre l’ennesima sfilza di dardi incantati gli trafigge il petto. “Interessante.” il mago sorride, osservando compiaciuto la sua vittima. Nell’oscurità del sotterraneo, i bagliori intermittenti degli incantesimi serpeggiano tra l’intrico di vene che gli deturpa il volto, rendendolo se possibile ancora più grottesco. “Hai molto potenziale inespresso.” Per un attimo il carnefice sembra fermarsi a riflettere, poi la tortura riprende. Un incantesimo dopo l’altro, fulmini, fuoco, ghiaccio in rapida successione, senza un attimo di respiro. Dal suo angolo nell’ombra, Yoshimo osserva in silenzio. Assapora ogni grido, ogni convulsione, ogni ferita inferta al corpo martoriato dell’elfo. Ogni lamento del Figlio di Bhaal è un inno alla memoria di Tamoko, un canto per placare il suo spirito inquieto e dargli il riposo che merita nell’aldilà. Nei mesi precedenti Yoshimo ha percorso in lungo e in largo la Costa della Spada alla ricerca della sorella, spronato da un presentimento senza nome che gli ha fatto dimenticare il sonno e la fame per giorni interi. Le tracce infine lo hanno condotto alla caotica città di Baldur’s Gate, dove la sua ricerca si è conclusa di fronte all’enorme portone a battenti di un tempio sotterraneo dimenticato dagli dèi e dagli uomini. Ancora adesso il ricordo del corpo di lei freddo e inerte tra le sue braccia gli strappa un tremito. La figura dell’elfo torturato si appanna davanti ai suoi occhi, i contorni diventano sfumati, e Yoshimo si ritrova a scacciare le lacrime con un gesto furioso della mano. Il bastardo potrebbe morire mille volte, e ancora non sarebbe sufficiente. Non lo sarebbe mai. “Possibile che non ti rendi conto del tuo potenziale?” Difficile che nella sua mente sconvolta dal dolore l’elfo riesca a capire le parole del suo carnefice. Il mago sembra nutrire una vera e propria ossessione per il Figlio di Bhaal, per ragioni che Yoshimo non riesce a immaginare. Né per la verità gli interessa. Sa solo che Jon Irenicus ha dato uno scopo alla sua sete di vendetta rivelandogli il nome dell’assassino di Tamoko, e questo gli basta. Una serie di passi metallici e cadenzati distoglie il mago dalla sua vittima. Il golem si presenta al cospetto del suo creatore, parlando con una voce profonda che sembra scaturire dalla terra stessa: “Altri intrusi sono entrati nell’area, padrone.” Irenicus sembra infastidito, ma non sorpreso: “Hanno agito prima di quanto ci aspettassimo. Pazienza. Il piano è solo rimandato.” “Rimandato?” interviene Yoshimo mentre il golem ritorna obbediente al suo posto. “Avevi promesso che sarei stato io a dargli il colpo di grazia.” Tra le dita di Irenicus si sta già formando un globo di luce verdastra, probabilmente un incantesimo di teletrasporto. Il mago si volta verso di lui, e sembra accorgersi per la prima volta della sua presenza. “E lo farai.” dice in tono neutro, piatto. “Ma non qui, non ora. Potrei aver bisogno che tu conduca il Figlio di Bhaal in un luogo più… appropriato.” “Non erano questi i patti. Ti ho aiutato a catturare l’elfo e i suoi compagni. Ora voglio quello che mi spetta.” Se il mago pensa di usarlo come uno dei suoi golem tirapiedi si sbaglia di grosso. I giochi di potere di Irenicus non lo riguardano. Forse un tempo si sarebbe lasciato tentare dalle ricompense, dalla possibilità di guadagno, dai vantaggi che vengono dal servire un uomo di grande potere… ma ora tutto questo si dissolve come una manciata di sabbia nel vento di fronte ai grandi occhi neri di Tamoko, colmi di una tristezza senza fine che reclama riscatto e vendetta. Irenicus non risponde, si limita a fare un gesto con la mano e lasciar svanire l’incantesimo. Il suo volto non tradisce alcuna espressione, una maschera mostruosa che cela ogni pensiero e intenzione. Istintivamente la mano di Yoshimo corre alla cintura, attorno all’elsa del pugnale. In quel momento mille scintille di dolore gli esplodono nel petto. Crolla in ginocchio, le dita che artigliano freneticamente la casacca e arrivano a graffiare la pelle nel vano tentativo di domare l’incendio che gli divampa dentro. Quando tenta di urlare, solo un rantolo soffocato esce dalla sua bocca spalancata. La figura del mago torreggia impassibile su di lui, opaca e tremolante attraverso un velo di lacrime. “Temo che tu abbia bisogno di un piccolo… incoraggiamento.” Irenicus solleva un dito e una vampata più ardente delle altre gli divora la gabbia toracica. Tamoko piange, il suo bel viso sconvolto dalla paura gli scivola via dalla mente sommerso da un’ondata insopportabile di dolore mentre un artiglio di fiamma gli stritola il petto, e il geas prende definitivamente il controllo del suo cuore.
“Che c’è, la piccola principessa vuole tornare a casa?” Sì. Voglio tornare a casa. Le parole di quell’uomo continuano a rimbombarmi nella testa, cariche di tutto lo scherno che il suo sorriso può caricare; dopo aver scagliato a terra la sua arpa sono uscita fuori, quasi senza respiro. Piove. A quest’ora Walla avrà già dato disposizioni alle cameriere per la colazione di domani, e mamma sarà a letto chiedendosi quanto ancora dovrà aspettare il ritorno di papà. Forse stasera hanno mangiato il coniglio, quello che Rick cucina così bene, e magari l’odore sarà arrivato fino alla mia stanza vuota. L’unico odore di questa piccola città –Beregost, credo si chiami Beregost ma ormai non sono sicura nemmeno di quello- è il tanfo che esce dal bordo della strada, dove l’acqua che scende senza sosta si mescola al letame delle vacche e crea dei rivoli marroni che serpeggiano proprio nell’angolo che ho scelto per ripararmi, l’unico con un semplice residuo di tettoia in fango che riesca a reggere la furia dell’acquazzone. Ho freddo. Il mantello è bagnato fino all’ultima fibra, e più che un conforto sembra una mano fredda che mi si stringe intorno al corpo. “Sono una stupida. Una vera stupida” mormoro tra le labbra, quasi a cercare conforto nel sentire la mia stessa voce sopra la pioggia battente. Solo una stupida avrebbe abbandonato di nascosto la villa dei propri zii, rubando un cavallo dalle stalle per partire in cerca di avventure. Ma nemmeno la più stupida delle stupide sarebbe partita con solo una manciata di monete d’argento nel vestito, convinta di poter vivere di piccoli furtarelli e di un po’ d’ingegno. Un gatto mi passa vicino, anche lui alla ricerca di un riparo. Sembra il mio piccolo Miele, ma è molto più magro ed ha il passo veloce. Provo ad acchiapparlo, a stringerlo a me per trovare almeno un po’ di calore in quella forma pelosa, ma per tutta risposta quello soffia, mi graffia e salta giù dalle mie braccia tuffandosi in un vicolo. Papà dice sempre che un Silvershield non piange in alcun caso, men che mai davanti a qualcun altro; ma non c’è nessuna figura intorno a me, nessuno che possa distinguere le mie lacrime dalle gocce di pioggia. E allora piango, piango perché ho fame e perché sono la più stupida ragazza di tutta Faerûn. Un rombo di tuono sovrasta l’istante successivo. Copre ogni cosa, anche i passi che vengono nella mia direzione, e quando mi accorgo che qualcuno è entrato nel mio spazio vitale mi ritrovo con il polso intrappolato in una mano che non lascia vie di fuga. “Adesso bellezza tiri fuori duecento monete d’oro e mi ricompri l’arpa, altrimenti …” Provo a liberarmi, ma scivolo nel fango e mi ritrovo per terra, la mano sinistra ancora prigioniera della sua. Il suo alito puzza di birra ed idromele, e gli occhi sono lucidi, coperti da una sottile patina rossastra. È ubriaco. Non ho idea di come le parole riescano ad uscire ancora dalla mia bocca senza trasformarsi in un unico suono inarticolato, forse la paura di quello che potrebbe farmi … “Io … adesso non le ho, davvero, io …” il suo sguardo è così orribile che me lo sento nello stomaco. “… te ne darò il doppio, promesso! A-anzi, il triplo! Devo solo tornare a casa e …” “Tsk, lo dicevo io che eri una piccola principessa fuori dal suo bel castello. Che c’è, volevi provare l’ebbrezza della vita di noi poveracci?” Sì, sono solo una piccola principessa così stupida dal rimanere in silenzio davanti alla sua accusa. Vorrei dirgli cosa vuol dire rimanere confinata nella stessa casa per giorni, uscire solo con una coppia di guardie, sapere che i propri genitori hanno una lista di nomi dei migliori nobili della città con cui programmare il mio matrimonio, il non poter mai saltare su un cavallo e galoppare, galoppare lontano con il vento nei capelli. Potrei gridare, ma continuo a piangere. Questo non gli impedisce di abbandonare la presa. “Ammesso che sia vero quello che dici … che ricompensa mi aspetterebbe se ti riportassi a casa? Non hai la faccia di quella che …” Non termina la frase; deve aver letto la luce nei miei occhi, il mio cuore che ricomincia a battere. “Tutto quello che vuoi! Mille, duemila monete d’oro –dico, quasi come se un raggio di luce avesse appena riscaldato la giornata- ma ti prego, puoi riportarmi a casa?” “Veramente avevo in mente un’altra ricompensa …” È un attimo. Mi strattona per il polso con una forza incredibile per un uomo della sua stazza, e le mie labbra rimangono intrappolate tra le sue non appena cerco di rimettermi in piedi e trovare l’equilibrio. Vorrei che fosse un caso, ma la sua mano mi guida la testa ancora in avanti ed il bacio si approfondisce in una maniera … strana … Posso sentire l’odore di birra fin nei polmoni. Una parte di me, le mie spalle cercano di opporsi a quell’invasione, ma le gambe rimangono immobili piantate nel fango. “Sfortunato chi ti si sposa, principessa!” sogghigna mentre riprende fiato. “Baci in maniera terribile! Da dove vieni?” “Da Baldur’s Gate …” Il cuore inizia a battere senza sosta, come se tutti i tamburi dei nani stiano suonando contro il mio petto. Se papà sapesse anche solo lontanamente che … “Baldur’s Gate? Eccellente! Abbiamo tre giorni per fare pratica!” mi libera il polso, e per un istante il volto sembra meno minaccioso. Ma forse è soltanto colpa della pioggia. “Allora, quando partiamo, sua altezza?”
Domanda a chiunque abbia trovato il coraggio di leggere: secondo voi è il caso di estendere queste short stories anche ai personaggi della ToB? Molti png (come i Cinque) potrebbero essere buoni spunti, anche se altri mi fanno mettere le mani nei capelli...
Riprendo anche io. Questa è scritta proprio da schifo, ma pur essendoci stata su parecchio non mi è venuto proprio nulla di meglio.
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Personaggio: Kagain Genere: introspettivo, missing moments Rating: verde Avvertimenti: è scritta di cacca.
Diamonds are a dwarf's best friend
Se chiedi a una persona qualsiasi chi era Durlag, risponderà quasi sicuramente “il nano più sfortunato della storia”. Pochi, molto pochi ricordano che è stato anche il signore dei nani più ricco che abbia mai camminato su Faerûn. Kagain preferisce di gran lunga il secondo punto di vista: più vincente, più vantaggioso. La spedizione finora è stata un successo. Rubini, zaffiri e diamanti come se piovesse, oltre a una quantità semplicemente vergognosa di monete d’oro. Già dopo il primo piano sotterraneo ogni anfratto dello zaino, delle tasche e delle bisacce di Kagain è pieno fino all’inverosimile, e il nano avrebbe quasi voglia di baciare la maga selvaggia che ha acconsentito a condividere con lui la sua borsa conservante. Se non fosse per le occhiate di disprezzo e le frecciatine di Yeslick sarebbe una giornata davvero perfetta. Con quelle sue sopracciglia aggrottate e le labbra perennemente atteggiate in una linea dura e sottile il chierico sembra l’effige vivente di Helm giudicatore. O la sua versione nanica, per lo meno. Kagain sente il suo sguardo severo bruciargli sulla schiena ogni volta che con l’ascia frantuma un vecchio forziere per svelarne i tesori nascosti, più irritante di qualsiasi scheletro, ghast o Doppelgänger abbiano incontrato finora. “È colpa tua se quei ragni ci hanno attaccati prima” lo ha accusato addirittura qualche stanza fa. “Hai perso troppo tempo a cercare nella sala d’armi.” E quando tu ti sei fermato a blaterare preghiere per la famiglia di Durlag e ci sono sbucati cinque golem alle spalle, allora? O peggio, quando li ha costretti tutti ad ascoltare la triste storia del suo passato, del suo clan sterminato, del tradimento di un presunto amico... “Per certi versi la storia di Durlag mi ricorda la mia. I Doppelgänger lo hanno colto di sorpresa prendendo le sembianze dei suoi cari…. e allo stesso modo io sono stato ingannato da un essere spregevole che si nascondeva dietro la maschera dell’amico.” Per farla breve, una sere di sviolinate patetiche come non se ne sentono nemmeno nelle canzoni da quattro soldi del più ubriaco dei bardi. Il Figlio di Bhaal fa cenno che il corridoio è sgombro da trappole e Kagain si mette in testa al gruppo, l’ascia sguainata e un occhio sempre fisso sulla maga e il suo prezioso contenitore di gemme. C’è una svolta pochi metri più avanti. Il nano prosegue rasente al muro, i sensi tesi a captare ogni possibile segno di pericolo. Un urlo improvviso li inchioda sul posto, raggelandoli. Stavolta non è il verso di una bestia o di una creatura mostruosa, lo hanno sentito tutti. È una voce umana, infantile. “Aiuto! Vi prego… aiutatemi!” Prevedibile. Non fa in tempo ad afferrarlo per un braccio che Yeslick si lancia in avanti roteando il martello come un ossesso. “Per Moradin!” Kagain impreca e lo segue di corsa. Ancora prima di svoltare l’angolo già vede chiara con gli occhi della mente la scena che sta per comparirgli davanti. La pelle del bambino che si accartoccia come una pergamena consumata dal fuoco, rivelando le sembianze grottesche di un Doppelgänger. Yeslick colto di sorpresa, sbilanciato all’indietro, troppo lento a sollevare il martello per difendersi. Il colpo lo atterra e l’arma gli rotola via dalle mani. Solo l’ascia di Kagain si para tra lui e una fine sicura, aprendo in due il mostro con un colpo netto e facendo schizzare il suo icore viscido e disgustoso tutto intorno. L’espressione sconcertata sulla faccia del chierico è impagabile. “Tu mi ritieni solo un predone avido e senza scrupoli” gli dice Kagain più tardi, quando il gruppo riprende la marcia nei sotterranei della torre di Durlag. Per un po’ i due nani camminano fianco a fianco, e trascorrono parecchi istanti di silenzio prima che l’altro si decida a rispondere. “Non solo io” borbotta infine il chierico, senza neanche degnarsi di guardarlo in faccia. “È un dato di fatto.” “Però vedi, anch’io ho i miei motivi. I parenti ti ingannano. Gli amici ti pugnalano alle spalle. Chi sostiene di amarti può diventare il tuo peggior nemico.” Yeslick continua a fissare dritto davanti a sé, muto e ostinato. “Ma questi, caro il mio chierico… “ da una delle bisacce agganciate alla cintura Kagain estrae un diamante grezzo, sollevandolo in modo che la luce delle torce si rifletta in guizzi luminosi sulla sua superficie sfaccettata. “Questi non ti tradiscono mai.”
Comments
No, non ho googolato; Sting e i Police sono stati per anni indubbiamente i miei preferiti!!!
Ho visto almeno 5 concerti di Sting.
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Personaggio: Gorion
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Malinconico.
Rating: Giallo
Avvertimenti: contiene informazioni ricavate da ToB. Appena ho visto la scenetta in questione non ho saputo resistere di scrivere qualche cosa sull'argomento.
Melodies of life
“Alianna!”
Come siamo giunti a questo? Come ho lasciato che accadesse?
“Alianna, ti supplico, fermati!”
Mi guarda, meravigliosa mentre le fiamme divorano il tempio. I suoi occhi azzurri adesso riflettono il potere del fuoco, e quando una colonna crolla proprio alle sue spalle non accenna a muoversi, in piedi davanti all’altare su cui spicca il grande teschio d’oro. La ferita alla gamba inizia a pulsare. Fino a qualche attimo prima nelle mie orecchie c’era il fragore della battaglia, degli incantesimi lanciati contro le sacerdotesse nella speranza di fermare il loro piano, la voce di Dermin Courtierdale che sprona tutti a non arrendersi in nome dell’Equilibrio… ma adesso c’è soltanto silenzio. Ed il pianto di un neonato.
“Che sapore ha la verità, Gorion? Cosa credi di ottenere adesso da me?” sorride, mentre il crepitio delle fiamme diventa un odioso sottofondo alla sua voce. Vorrei cancellare quelle parole, vorrei che il tempo si fermasse. O anzi, che tornasse indietro, che la clessidra si voltasse per restituirmi tutti quei momenti felici che il sogghigno del teschio sembra rubare dal mio petto mentre una lama brilla tra le sue mani. “I tuoi amici che arpeggiano sono arrivati troppo tardi. Tu sei arrivato troppo tardi! Pensi davvero di fermarmi in quelle condizioni?”
La coscia mi brucia, ma so benissimo che non si sta riferendo a quella. Non ci separano che una manciata di passi, ma non riuscirei a colmare quella distanza nemmeno se le mie gambe fossero quelle di un gigante del fuoco. Un passo causerebbe la rovina di entrambi.
Il bambino piange, disteso sull’altare. Ed i granelli della clessidra continuano a scendere. “Alianna, quello che stai facendo è una follia! Non puoi farlo davvero, è tuo figlio!”
“Appunto”.
Non è lei.
Non può essere lei.
Non può appartenere a lei questa voce, la stessa che mi sussurrava …
“Nessun sacrificio sarà più grande. Il potere di Bhaal scorre nelle vene di questo bambino, e sarò io la prima ad offrirlo al nostro signore. Lui tornerà, unico e divino, e diventerò la sua prima sacerdotessa! Amelyssan scomparirà dai suoi favori una volta per tutte!”
“SMETTILA!” grido, e la cenere dell’aria mi graffia fin nella gola. “COME PUOI PARLARE IN QUESTO MODO? COME PUOI DISTRUGGERE LA VITA CHE TI E’ PIU CARA AL MONDO? RISPONDIMI, ALIANNA!”
“Questa è la via di Bhaal. La morte dell’amore”.
Forse l’amore è morto davvero.
Ma credevo potesse vivere in eterno. Credevo che potesse vivere in quel bambino meraviglioso, che ho aiutato personalmente a far uscire dal ventre della madre e che mi ha stretto il dito nella sua minuscola mano. Credevo che potesse vivere nel sorriso di quella strana sacerdotessa dai capelli biondi conosciuta per caso in una notte d’estate, quando le stelle sussurravano le melodie della vita. Credevo di poter creare qualcosa di unico per quell’amore, delle mura per crescerlo, dei libri per coltivarlo, avevo lasciato che la clessidra del mio cuore girasse in avanti, sempre in avanti.
Anche adesso gira in avanti. Le mie dita reagiscono prima ancora degli occhi. I Dardi Incantati lasciano la mano e saettano oltre lo spazio, oltre noi. Quattro la colpiscono al petto, cogliendola di sorpresa; uno raggiunge la mano che stava per piantare il coltello del corpo del bambino, e l’arma cade a terra con il suo clangore metallico. Il corpo di lei lo segue.
Salgo i gradini incurante del dolore. Vorrei voltarmi da un’altra parte, fingere che la clessidra non stia girando per me, ma i miei occhi si poggiano sul suo viso su cui è dipinta un’espressione di odio che nemmeno lo fiamme potranno più cancellare. È ancora bellissima.
E il bambino piange. Non smette.
Forse non smetterà mai.
Il suo corpo è circondato da un’elaborata serie di rune tracciate col sangue sull’altare, ma il rito non è stato completato ed il teschio d’oro è freddo, come se il suo sguardo ormai sia volto altrove. Dermin sostiene che i figli di Bhaal dovrebbero comunque essere sterminati tutti, perché sono una minaccia per l’Equilibrio; le profezie di Alaundo non hanno mai sbagliato.
Non ha tutti i torti, e lo so.
Ma la creatura stringe di nuovo la mano intorno al mio dito ed abbozza un sorriso con le sue minuscole labbra, ed in fondo … chissene importa dell’Equilibrio!
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Su Gorion avevo due fanfic in mente, entrambe comunque ambientate durante la distruzione del tempio delle sacerdotesse di Bhaal per mano degli Arpisti. Ho scelto questa perché è stata la prima a venirmi in mente e perché volevo parlare dei sentimenti di Gorion (che in ToB non vengono nominati, ma se ne accenna in BG 1 e volevo creare un ponte tra le due versioni), ma anche la seconda mi ha stuzzicata fino all'ultimo; forse quando avrò finito tutta la lista la scriverò, oppure cercherò di riciclarla per un altro personaggio.
Ovviamente anche questo titolo è una citazione. Un po' tirata per le orecchie, ma mi è sempre sembrato un titolo meraviglioso e da qualche parte volevo inserirlo; pensavo a qualche bardo, ma mi sembrava sprecato per Eldoth.
L'immagine del capitolo non è originale della serie ma è tratta da una fanart.
Ah, prometto solennemente che la prossima storia sarà un po' più allegra, mi rendo conto di aver scritto solo mattonate!
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Personaggio: Dorn Il-Khan
Genere: Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertenze: ispirata alla canzone The Castle Hall di Ayreon, da cui sono tratti il titolo e la citazione iniziale. Non ho ancora giocato la quest di Dorn in BG2:EE, quindi la storia si basa esclusivamente sugli eventi del primo gioco. Le informazioni sulla madre di Dorn sono basate sul racconto ufficiale che si può leggere sul sito di BG Enhanced Edition.
“Cries from the grave resound in my ears
they hail from beyond my darkest fears
faces of the past are etched in my brain
the women I’ve raped, the men I've slain
shades of the dead are sliding on the wall
demons dance in the castle hall.”
(Ayreon, “The Castle Hall”)
Demons dance in the castle hall
Gli spettri prendono forma dall’oscurità.
Emergono dagli angoli più lontani, dove il debole fuoco delle torce magiche non riesce a lambire il buio. Sorgono dalle fessure tra le pietre sconnesse del pavimento, scie di oscurità che si condensano pian piano in forma umana. Strisciano lungo le pareti, ondeggiano nella luce tremolante delle torce. Scivolano attorno a lui in una danza ipnotica, chiudendolo in un cerchio di ombra e sussurri.
I loro occhi sono vuoti, ma Dorn percepisce l’accusa nel loro sguardo come un brivido gelido sulla pelle.
Si rende conto di riconoscere la maggior parte delle apparizioni. E la cosa non gli piace affatto.
Le sue dita si serrano attorno all’impugnatura di Rancor. Quando volta la testa in cerca dei suoi compagni non vede nessuno. L’atrio del castello è deserto, a parte lui stesso e le ombre.
Impreca. Muove un paio di passi nel tentativo di arretrare verso l’uscita, ma gli spettri gli sbarrano la strada. Riesce a scorgere il portone oltre le loro sagome fumose, ma non è sicuro di voler scoprire cosa accadrebbe se provasse a passare loro attraverso.
Impreca di nuovo. Il piccoletto è un idiota. Un pessimo leader. Ur-Gothoz è un padrone saggio oltre che feroce, e Dorn ha sempre pensato che avesse i suoi validi motivi per spingerlo a mettere la sua spada al servizio di quell’elfetto dalla risata facile. Se quei motivi ci sono, Dorn non riesce minimamente a scorgerli ora. Solo un completo idiota poteva guidare il gruppo tra le rovine di un castello infestato totalmente privo di ricchezze o oggetti magici di interesse per recuperare un bambino stupido che si è allontanato troppo da casa.
Un’ombra si stacca dal cerchio, gli fluttua incontro tendendo le braccia spettrali. La sua voce è un fruscio distorto in cui Dorn non riesce a distinguere parole di senso compiuto, ma riconoscerebbe tra milioni quel viso sempre deformato dall’angoscia e dalla paura. La sua debole madre umana. Anche da fantasma la patetica donna è capace solo di piangere, come faceva ogni singolo giorno durante i lunghi anni di schiavitù nel villaggio degli orchi.
La rabbia e il disgusto guidano Rancor in un fendente micidiale, e l’ombra della donna si dissolve in tanti filamenti di oscurità che si disperdono tra le crepe del pavimento. È come un segnale per gli altri spettri, che si gettano su di lui all’unisono.
Li falcia uno dopo l’altro con soddisfazione feroce. Senjak e il suo ghigno arrogante, Dorotea la doppiogiochista, quel bastardo di Simmeon che ha ordito il complotto ai suoi danni. I contadini e le madri di Barrow che implorano invano pietà per i figli. Rancor si nutre con avidità dell’essenza degli spettri, e offre al potente Ur-Gothoz il loro odio e il loro dolore come glorioso tributo.
Ogni tanto una delle figure nebulose riesce a toccarlo, e allora una scossa gelida gli si propaga lungo tutto il corpo, lasciandogli dentro un senso di vuoto. La massa di ombre sembra non finire mai.
Sono così tante le persone che ho ucciso… ?
Un tocco è diverso dagli altri. Tiepido anziché gelido, una carezza che gli riporta alla mente sensazioni dimenticate. Si volta, e la vede.
Kryll è bella anche nella morte, e a differenza delle altre ombre sorride.
Un’illusione. Anche lei lo ha tradito come gli altri. Meritava di morire, e ora merita di sparire di nuovo.
Lo spettro di Kryll è rapido ad insinuarsi fino a lui nell’attimo fatale in cui Rancor esita. Dorn si sente avvolgere in un manto di ombre, e fa per divincolarsi. Ma non sente dolore. L’abbraccio dell’ombra ha lo stesso profumo della pelle di Kryll nelle notti estive, dell’erba umida in cui i loro corpi si rotolavano nell’abbraccio del desiderio sotto lo sguardo benevolo delle stelle.
La vita era più semplice allora. I bivacchi attorno al fuoco, la sicurezza di poter dormire indisturbato perché c’è un compagno a guardarti le spalle. I combattimenti schiena contro schiena, la spartizione del bottino, i boccali schiumanti durante i brindisi in taverna. Nessun padrone demoniaco che ti sibila le sue volontà imperscrutabili nella testa, e un corpo caldo che cerca il tuo con desiderio, senza curarsi che il collo su cui sta tracciando una scia di baci appartiene a un mezzosangue, un mezzorco disprezzato da tutti.
Kryll gli circonda il viso con le mani e lo stringe a sé. Dorn sente che le sue dita abbandonano la presa su Rancor, ma non si ribella. Va bene così.
Le gambe gli cedono, la testa si svuota. Se solo potesse fermarsi un attimo a riposare…
Un sibilo acuto squarcia l’oscurità, seguito subito da un secondo, poi da altri ancora. Cinque dardi rossi luminosi convergono su Kryll e la fanno sparire in uno sbuffo di fumo. Le ginocchia di Dorn urtano il pavimento di pietra, e il dolore gli schiarisce la mente, riportandolo al presente. Rancor rimbalza lontano con un clangore metallico mentre le ombre si dissolvono, come spazzate via dal vento.
Il piccoletto è lì, il maledetto eterno sorriso sempre al proprio posto. Sta dicendo qualcosa a proposito di un illusionista pazzo che si nascondeva tra le rovine, ma Dorn lo ascolta solo a metà. Si rialza piano, sbatte le palpebre come se non riuscisse bene a mettere a fuoco l’elfo di fronte a lui.
“Tutto a posto?” domanda il piccoletto. Sembra sinceramente preoccupato.
Al suo cenno d’assenso si mette in marcia verso un’arcata sulla parete sinistra. “Ottimo! Vieni, gli altri ci aspettano da quella parte! E Neera ha trovato il bambino!”
Dorn segue l’elfo senza una parola, fermandosi un attimo per raccogliere Rancor. Le sue dita stringono l’elsa della spada con più forza del dovuto.
Il piccoletto lo ha visto in un momento di debolezza. Dovrebbe ucciderlo solo per questo.
“Dai, sbrigati, che aspetti?” l’elfo lo chiama ancora agitando una mano.
Dorn rinfodera la spada, e lo segue con un sospiro.
Il piccoletto in fondo non è poi un leader così terribile. Nessun capo che torna indietro di persona per recuperare i propri compagni lo è. Forse può concedergli un’altra possibilità.
Forse stanotte potrà dormire con entrambi gli occhi chiusi.
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Per quanto mi riguarda certo che puoi inserirle! Anzi, sono contenta che piacciano! (e ovviamente voglio il link al sito :P)
Inoltre alcuni ritratti li ho cambiati rispetto a quelli qui presenti, quelli "classici" per intenderci.
Ho inserito una breve "definizione" di fanfiction nella colonna deputata agli autori del blog e credo che la struttura sia apposto.
Sulle autrici ho messo solo il nome, inserirei volentieri due righe che spieghino come vi siete avvicinate alla fanfic o qualcosa in merito all'argomento!
L'indirizzo è http://www.blacklinx.net/fanfiction.html, attualmente i contenuti sono stati pubblicati ma la pagina non è collegata da nessun menu del sito (quindi è ancora nascosta). Una volta che partiamo metterò un link nel menu "Blog" principale. Dubbi, miglioramenti, suggerimenti, complimenti? Un sentito ringraziamento alle autrici!
Per quanto riguarda la pagina delle fanfic, trovo davvero un'ottima idea riportare al lato la descrizione del termine, che non tutti potrebbero conoscere. E adoro l'immagine di Snoopy scrittore in alto! In generale non ho proposte particolari per quanto riguarda impaginazione e tutto, penso che in effetti la soluzione del blog sia la migliore, anche perché consente di usare i tag che rendono più facile la ricerca delle fanfic secondo vari criteri.
Per la descrizione delle autrici, magari provo a preparare qualcosa per la mia tra oggi e domani, ci penso un attimo e poi posto qui.
Grazie davvero per il bel lavoro!! Fa un bell'effetto vederle tutte impaginate così!
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Personaggio: Imoen
Genere: Comico, Introspettivo.
Rating: Giallo
Avvertimenti: ambientato anni dopo la saga dei Bhaalspawn. Tutto origina da una lunga serie di dialoghi deliranti tra Neera e Imoen.
Pink and red
“Va bene, ripassiamo il piano …” sussurra Neera appoggiandosi allo stipite della porta.
“Ehm … ti ricordo che non abbiamo un piano …”
Un uomo esce dalla stanza accanto, totalmente nudo. Viene nella nostra direzione barcollando come se avesse ingerito tre pinte di birra –ma a giudicare dall’alito direi anche cinque o sei- ma prima che possa rivelare la nostra presenza lo silenzio con un incantesimo. La bocca gli si impasta e cade a terra, e dopo nemmeno un minuto una delle cortigiane del Diadema di Rame esce dalla stanza da letto e lo riaccompagna gentilmente dal luogo dove è venuto. Nel corridoio torna il silenzio.
La mia amica ha l’orecchio incollato alla porta e mi fa un cenno affermativo. Mi avvicino alla serratura e faccio per scassinarla, ma lei mi allontana. “C'è un solo modo per aprire una porta!"
Mi butto a terra appena la sua mano si illumina di rosso, sapendo che trovarsi vicino a Neera quando si immerge nella sua magia selvaggia non è la cosa più intelligente da fare. La palla di fuoco esplode contro la porta che si carbonizza all’istante in una nuvola di fumo nero e scintille; non faccio in tempo ad alzarmi in piedi che la mia amica è già entrata con un salto. “EDWIN ODESSEIRON, SEI IN ARRESTO!”
E fu così che svegliammo tutta la taverna …
Entro nella stanza cercando di respirare il meno possibile, e quando mi porto accanto alla mia compagna di avventure cerco di non ridere alla vista dello sguardo a metà tra lo sbigottito ed il furioso della nostra vittima che ci fissa dal letto mentre la sua compagna di lenzuola –una ragazza dalla lunga chioma nera- rotola per terra nascondendosi dietro una cassapanca. Neera punta il bastone nella sua direzione, e mi fa un colpo di tosse per ricordarmi che è il momento della mia battuta. “L’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa è venuto fin qui per punirti dei tuoi crimini!”
“Ma guarda chi si rivede, la maghetta selvaggia e la figlia di Bhaal in persona (non si può più nemmeno andare in un bordello in santa pace al giorno d’oggi …)” borbotta portando le mani in alto. Il suo tono è sempre pungente nonostante gli anni, ma la sua voce trema un po’ per l’indecisione. O la sorpresa. Sono sette mesi che gli diamo la caccia. “Immagino siate qui per quella questione degli esperimenti sui maghi selvaggi. Beh, sappiate che non c’entro nulla con quella storia (o quasi, ma suppongo che spiegare a questi due babbuini la differenza tra suggerire un paio di test e eseguirli vada oltre i limiti della loro intelligenza …)”.
Tanto dicono tutti così. Tutti scaricano le responsabilità a qualcun altro, tutti rimandano alle autorità superiori, al grande enclave dei maghi rossi, a chiunque abbastanza potente da sfuggire alla nostra organizzazione. Negano, nascondono, tradiscono i loro compagni, più passa il tempo e più i maghi di Thay mi danno il voltastomaco con i loro modi viscidi ed il denaro che fanno scivolare tra le tasche di un consigliere e l’altro per coprire i loro sporchi esperimenti. Per questo io e Neera abbiamo deciso di cambiare le cose a modo nostro, senza coinvolgere mio fratello o gli altri nostri vecchi compagni di viaggio –certo, l’Ordine sarebbe molto più vasto se Neera non avesse deciso che tutti i membri debbano tingersi i capelli di rosa- in nome di qualcosa che è difficile spiegare se non vi si passa attraverso.
La notte, quando chiudo gli occhi, sento ancora gli incantesimi di Irenicus su di me, i suoi occhi, il modo in cui mi guardava quasi come fossi nulla più di una cavia mentre in sottofondo riecheggiavano altre urla senza corpo, le voci dei prigionieri di Spellhold a cui tutto veniva sottratto. In quel momento avrei dato l’anima perché qualcuno venisse a prendermi, fossero state anche due ragazze strampalate dai capelli rosa e nessun piano in mente.
Io sono stata fortunata.
“Inutile negare, Edwin!” tuona Neera, ed in quel momento il suo bastone si illumina di mille piccole sfere scintillanti. “Preparati ad un bel viaggetto di sola andata, Telana ha già preparato il comitato di ricevimento! Un bel processo è proprio quello che ci vuole per la tua faccia di bronzo!”
Il mago di Thay fa per sollevarsi dal letto e buttarsi a terra, ma l’attimo successivo tutta la stanza è illuminata da una luce chiara ed accecante, che non ha nulla a che vedere con i normali incantesimi di teletrasporto. Mi ritrovo con la faccia sul pavimento della stanza per la seconda volta negli ultimi cinque minuti e già sto per festeggiare con la mia compagna quando mi accorgo che la sua figura è sparita. Non un lembo di vestito, nemmeno un capello svolazzante o bruciacchiato. Al suo posto trovo soltanto una pianta non più alta del mio palmo.
Un cactus.
Rosa.
Con tanto di sottovaso.
“Ehm … Neera?”
Non riesco nemmeno ad avvicinarmi alla pianta che Edwin raggiunge la porta con solo un salto –come avrà fatto a rivestirsi in quei pochi secondi di tempo lo sa soltanto Elminster- ed imbocca l’uscita in uno svolazzare di tunica scarlatta. “Sempre sia ringraziata la magia selvaggia!” lo sento gridare, ma l’attimo successivo anche i suoi passi sulle scale di legno della locanda non sono diventati altro che lievi scricchiolii e nascondono qualsiasi altro brontolio. Prendo in mano quello che resta della mia compagna d’avventure e per tutto ringraziamento mi pungo anche un dito. “E come al solito toccherà a me spiegare tutto ad Adoy …”
Piccoli incidenti di tutti i giorni per l’Ordine delle Bellissime e Potentissime Maghe dai Capelli Rosa.
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Salve a tutti, sono whitemushroom. Tenterò di essere sintetica, ma non è esattamente la mia dote principale. Sono un tipo piuttosto taciturno, con molte più idee e sogni nella testa di quante riesca oggettivamente a scriverne. Buttare giù delle fanfiction mi aiuta a esprimere me stessa ed a rilassarmi: non credo mi riesca divinamente, però mi piace. Si dice che ciascuno di noi abbia dentro un universo, e scrivere sia il modo migliore per farlo uscire fuori. Nel mio caso più che un universo c'è un Maelstorm, ma non si può avere tutto dalla vita.
Oltre a scrivere mi piace leggere romanzi e manga, ma anche disegnare -non mi riesce gran che bene, quindi da un po' di tempo ho messo da parte le matite ed il mondo ha tirato un respiro di sollievo- ma in generale adoro tutto ciò che non comporti lavorare, studiare e faticare. Nella vita reale faccio la dentista, ma se potessi campare con i miei sogni e ciò che scrivo sarei la persona più felice del mondo -e sì, magari il vostro dentista di (s)fiducia sotto il camice ha un cuore che batte quando sente nominare Baldur's Gate e non solo quando vi estrae i denti- ma purtroppo ciò è impossibile.
Con Lisaralin formo un bellissimo due scrittorio e non (cavoli, sono 26 anni che ci conosciamo, dovremmo festeggiare le nostre nozze d'argento) che spero continui per sempre! Di solito duettiamo in fanfiction crossover molto più lunghe e di ampio respiro, ma di recente abbiamo scoperto quanto sia divertente cimentarsi in storie brevi dedicate a singoli personaggi.
Se dovessi fare la lista di tutto ciò che amo occuperei tutto lo spazio concessomi da BlackLinx e dilagherei anche in quello destinato a Lisaralin, quindi direi di darci un taglio.
Per tutti coloro che hanno avuto la bontà di leggere questo trafiletto, chiedo gentilmente di adocchiare le nostre fanfiction e se possibile lasciarci un commento, anche se negativo: non tanto per chissà quale motivo, ma per fomentare il mio Ego smisurato! XD XD
Poiché suppongo che non vi interessi particolarmente sapere il mio segno zodiacale, i miei animali domestici, la mia famiglia ed i miei gusti musicali penso che con questo è tutto, passo e chiudo.
Un salutone a tutti,
whitemushroom, white per risparmiare sui caratteri e sul fiato
Ecco qua la mia piccola presentazione e scusa per il ritardo @Blacklinx !
Amante dei cieli azzurri e delle dormite sui prati, ottimista di natura, scrivo per passione e per dare vita alle immagini della mia fantasia (che restano sempre e comunque più belle della loro trasposizione su carta, ma pazienza!).
La mia scintilla creativa brilla più intensa se alimentata dalla fiamma di una scintilla gemella: creare una storia per me significa soprattutto condividere, costruire qualcosa insieme e avere un progetto comune. Oltre ad essere divertente è anche un ottimo modo per cementare un'amicizia!
Di recente ho anche cominciato a inventare non solo fanfiction ma personaggi e mondi totalmente miei, ma questa è un'altra storia, o forse lo sarà un giorno...
Spero sia sufficiente
Buon viaggio e buona avventura, e grazie per il lavoro che hai fatto!
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Personaggio: Xzar
Genere: introspettivo
Rating: verde
Avvertimenti: per una volta credo nessuno XD
Gioco di squadra
“Sua Maestà è davvero incontentabile oggi!”
Il calcio di Xzar manda all’aria un mucchio di ciottoli e solleva un velo di polvere grigia nel vicolo sudicio.
Halfling insulso e supponente! Ridicolo scherzo della natura! È solo colpa sua se sono rannicchiati in quel lurido covo di ratti da più di due ore senza riuscire a venire a capo di nulla. Colpa sua e della sua testardaggine malfidata.
“Potresti proporre qualcosa anche tu visto che non ti sta mai bene niente!” sbuffa il necromante, e senza attendere risposta sporge di nuovo la testa oltre l’imboccatura del vicolo per spiare il loro obiettivo.
All’apparenza è un edificio come tanti altri, in tutto e per tutto simile alla sfilza di anonimi magazzini e botteghe che lo circondano, ma Xzar sa che irrompere lì dentro senza un piano più che solido equivarrebbe a scoperchiare il sarcofago di un lich senza prima lanciarsi una protezione contro la non-morte.
“Altrimenti potremmo fare così” continua dopo una breve pausa, gli occhi sempre fissi sull’edificio arancione: “Tu ti infiltri passando per le fognature. No, niente proteste! È un luogo molto più adatto a te che a me. Poi una volta dentro rompi i sigilli di protezione con una pergamena che ti scriverò io, e a quel punto, zac! Gli spedisco una bella orda di ghoul dritta dritta attraverso il portone principale… “
Un piano geniale, Xzar ha tutto il diritto di complimentarsi con se stesso. Peccato solo che il silenzio dell’halfling alle sue spalle sia carico di disapprovazione.
“Ti avverto Montaron, comincio davvero a seccarmi.”
Si siede su una vecchia cassa sfondata, probabilmente abbandonata lì da parecchio tempo a giudicare dal legno marcio, e si massaggia le tempie con le dita. Se solo quel maledetto ladruncolo da tre soldi collaborasse…
“Puoi aspettare che uno di loro metta il naso fuori” tenta ancora dopo qualche minuto, ma il suo tono di voce ormai è privo di convinzione. Sa già come andrà a finire quel discorso. “Gli rubi il medaglione, poi io entro con qualche incantesimo di camuffamento e… “
… e allora la morte distruttrice di mondi calerebbe su quei maledetti Arpisti!
Xzar non dà voce al suo pensiero. Rimane a lungo con la fronte tra le mani, inseguendo il labirinto di idee che si aggroviglia dietro le sue palpebre chiuse come una trama di fili colorati e sfuggenti, impossibili da afferrare. Appena gli sembra di stringerne uno tra le dita quello si scioglie in mille rivoli luminosi e si dissolve nel buio, prendendosi gioco di lui. Non gli era mai capitato di sentirsi così impotente.
Alla fine alza gli occhi verso il fondo del vicolo, dove le ombre si addensano più fitte.
“In pratica mi stai dicendo… che senza il tuo aiuto non sono capace di fare niente?”
Gli rispondono solo il silenzio della sera e un improvviso soffio di vento che spazza il vicolo vuoto, facendogli ondeggiare il mantello e i capelli.
Userebbe quell’halfling insolente come bersaglio di allenamento per i suoi dardi incantati se solo potesse mettergli le mani addosso.
Se solo non avesse maledettamente ragione.
Xzar sospira e infila una mano nella bisaccia, estraendo una gemma rossa dalla superficie liscia e sfaccettata. La primissima refurtiva di Montaron, un rubino abilmente sottratto alla collana di una dama facoltosa ai tempi in cui era ancora un cucciolo di halfling appena in grado di camminare. O almeno questa è la storia che il furfante racconta sempre per spiegare l’origine di quello che definisce il suo “talismano portafortuna”. Xzar ha trovato il gioiello due giorni prima abbandonato nella polvere davanti al palazzo degli Arpisti, e non ha avuto bisogno di altre prove per capire che la missione di infiltrazione del compagno è fallita miseramente.
“Ma ora io devo pur trovare un modo per tirarti fuori da lì, dannazione!”
Il rubino sembra sorridere dal palmo della sua mano, accarezzato dagli ultimi raggi del sole morente che lo fanno risplendere di bagliori rossi. Gli occhi di Xzar vengono catturati dallo scintillio e lo seguono oltre il vicolo, nello spiazzo antistante il palazzo arancione, dove proprio in quel momento sta passando un gruppo di persone dall’aspetto esotico.
Il necromante trattiene il respiro.
Forse Montaron per una volta non ha esagerato. Forse quel gioiello porta davvero fortuna.
I bagliori cremisi danzano come lingue di fiamma tra i capelli dorati del giovane elfo che ha appena varcato la piazza insieme al suo seguito di compagni. Xzar riconoscerebbe quel piccoletto tra mille: il ragazzino prodigio di Candlekeep, l’unico avventuriero nella Costa della Spada che scomoda il suo gruppo per correre al salvataggio di vedove e orfani senza certezza di ricompense…
Le sue labbra si piegano in un sorriso: “Lo dici sempre anche tu Montaron che il modo più sicuro per ottenere qualcosa è far lavorare un altro al posto tuo… “
In due passi abbandona il vicolo, emergendo dalle ombre.
“Ehi voi! Un attimo della vostra attenzione, per favore…. “
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Personaggio: Coran
Genere: Comico, Introspettivo, Missing Moments.
Rating: Giallo virante sull'arancione.
Avvertimenti: nessuna, a parte aver sforato il limite delle parole oltre ogni decenza
Overwolf
Ascolto il suo respiro con attenzione, tuffandomi nel buio della stanza di questa squallida locanda di Waterdeep. Il suo corpo nudo è stretto al mio, nascosto sotto le lenzuola ruvide e ancora impregnate del nostro odore; mi muovo leggermente tra una piega e l’altra mentre il fiato di Lanfear è sempre più profondo e sta guidando la sua padrona verso sogni di miele, danze e piacere. E di me, chissà.
Scivolo giù dal letto e mi rivesto senza fare alcun rumore: alcuni pensano che sia soltanto la mia natura elfica a rendermi così silenzioso, ma evidentemente non sanno che nel tipo di vita che pratico io quello che conta di più è l’esperienza. Le donne hanno un odioso sesto senso quando si tratta di gente che si muove accanto al loro letto.
La nottata non è stata delle migliori, ma devo ammettere che da quando ho conosciuto leitutte le altre donne sono troppo alte o troppo basse, troppo grasse o troppo piatte, ed i modi bruschi e l’alito impregnato di birra rendono Lanfear un’amante mediocre, una distrazione in cui immergersi solo perché ha qualcosa di molto, molto interessante e non è ciò che nasconde tra le gambe.
La sua sacca è lì, per terra, proprio accanto al corpo addormentato. Trattengo il fiato e mi accuccio sulle assi di legno, controllo una terza volta il suo respiro e poi la mia mano scivola nel contenitore di cuoio fino a sentire la rassicurante forma di un sacchetto pieno zeppo di monete d’oro avvolto con cura in un involucro di stracci per non far sfuggire nemmeno un tintinnio.
Un’idea degna di me, lo ammetto.
Quante ce ne saranno? Cento? Duecento? Sicuramente abbastanza per comprare quella bella collana d’oro che starebbe benissimo sul collo di …
“Chi è Safana, tesoro?”
Qualcosa mi stringe il polso, ed il sacco con il suo prezioso contenuto rotola a terra in barba alla segretezza. D’istinto estraggo il pugnale con la mano libera e affondo in avanti, ma un dolore mi sale lungo l’altro braccio e perdo la presa sull’arma rovinando a terra. Cerco di sollevarmi, ma come risultato vengo scaraventato a terra con l’orripilante certezza che ciò che sta stringendo il mio polso come una morsa è la mano di Lanfear. Un barbaro mezz’orco sarebbe più delicato. “Credevo fossi innamorato di me, Coran”.
“Ehm … come dire …” quello era il momento di una bella battuta. O di una qualche frase intelligente che mettesse in crisi la donna. O di una scusa plausibile. Ne aveva inventate più di quante sapesse contare, ma mai in situazioni così estreme come una stretta mortale e la sensazione che qualcosa stia andando per il verso storto. “Credo … che ci sia stato un malinteso, io …”
“Non te lo ripeterò un’altra volta. Chi è questa Safana? E cosa ci fai con le mani nei miei soldi?
Maledizione alla mia linguaccia. Aveva ragione quell’elfa Arpista quando mi disse che prima o poi mi avrebbe messo nei guai.
Ed ovviamente, proprio quando mi serve, la mia linguaccia a bella posta decide di appiccicarsi sul pavimento della bocca e far uscire dalle mie labbra solo qualche suono inarticolato, che ovviamente non basta per trattenere la sua furia. Per un attimo ho come l’impressione che le unghie della sua mano stiano diventando più lunghe e taglienti.
“Un vero peccato, amore mio. Se non posso averti tutto per me …”
L’impressione si trasforma in un’atroce certezza, perché l’attimo dopo le sue ginocchia si piegano e la schiena massiccia –ma come poteva pensare che facessi sul serio con un corpo sgraziato come quello?- si arcua. China il viso verso di me, e se prima di questa nottata aveva ancora qualche lineamento umano questo sparisce per trasformarsi in un muso allungato che mi fa rimpiangere l’alito pieno di birra di cui mi ero lamentato fino a qualche istante prima. Anche perché quella che spunta dal retro delle sue gambe è palesemente una coda. “… potrei comunque impiegarti come spuntino …”
Normalmente in queste situazioni mi chiedo per prima cosa quanto idromele io abbia ingerito ieri sera, ma per qualche strano motivo il dolore che adesso è salito fin sulla spalla mi suggerisce di non pensare a questi dettagli e di concentrarsi su cose più urgenti. Tipo portare tutti gli arti lontano da questa stanza nei prossimi trenta secondi. Continua a stringere, forse i suoi occhi gialli stanno pregustando come gustarsi il mio braccio una volta che l’avrà strappato dal resto del corpo; sono quasi a terra quando la mano libera incontra l’unica possibilità di salvezza.
“Mettiamola così, Lanfear …” mormoro, sapendo che non avrò una seconda possibilità. “Non sei esattamente il mio tipo!”
Le monete d’oro impattano proprio sul suo muso. Il licantropo manda un verso, impreparato alla mia reazione, e per sicurezza le scaglio di nuovo un altro po’ di quel ben di Helm proprio contro gli occhi. Ulula come se qualcuno le avesse pestato la coda, ed è il mio momento. La sua stretta si allenta il tempo necessario per scivolare da quella posizione, rialzarmi e gettarmi contro la finestra. “DETESTO LE DONNE PELOSE!”
Atterro nel fango del vicolo in un’esplosione di pezzi di vetro. Ho fatto bene a scegliere una stanza al primo piano.
Lanfear manda un verso così profondo che richiamerà tutte le guardie della città, e per il momento la cosa più importante è correre il più lontano possibile da quella pazza scatenata e cercare un modo per lasciare Waterdeep prima che riesca a mettersi sulle mie tracce. L’unica consolazione è che in tutta questa storia posso mettermi una mano in tasca e trovarla un po’ più piena di ieri mattina, perché non potevo mandare sprecato tutto quell’oro. Safana avrà la sua collana, ed io avrò … beh, avrò pur diritto alla mia ricompensa, no?
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Mi sembrava carina l'idea di tirare fuori il personaggio di Lanfear!
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Personaggio: Garrick
Genere: introspettivo, missing moments
Rating: verde
Avvertenze: Sängerkrieg in tedesco vuol dire "gara dei cantori". Il termine è tratto dall'opera di Wagner Tannhäuser, incentrata appunto su una competizione tra poeti. L'idea per la storia mi è venuta da lì.
Sängerkrieg
Le ultime note della melodia di Eldoth si perdono in una raffica di applausi. Il bardo si inchina per ricevere l’ovazione del pubblico e lancia un bacio sulla punta delle dita a Skie, che batte le mani e sorride dal suo posto di giudice, dietro al bancone della taverna.
Garrick detesta ammetterlo, ma il suo rivale è davvero bravo. È quasi impossibile seguire le sue dita mentre danzano leggere tra le corde del liuto, intessendo una corrente spumeggiante di musica che si avvolge in spire vivaci attorno alla sua voce calda e appassionata per dare vita a ballate di avventura, amore e battaglie. Persino lui è tentato di applaudire, da intenditore che sa riconoscere della buona musica quando la sente.
“Ehi, fiorellino! È il tuo turno adesso!” La voce di Eldoth, così gradevole nel canto, è sempre carica di scherno quando si rivolge a lui. Garrick deglutisce, consapevole di avere gli sguardi di tutti puntati addosso.
Pian piano il brusio nella sala comune si spegne di nuovo. Garrick armeggia con le corde della cetra, tenta di accordarle con le dita che tremano leggermente. Prende tempo. Da lontano, Skie gli sorride in segno di incoraggiamento.
L’idea della gara è stata di Eldoth, ovviamente. Così come quella di disputarla in pubblico, e precisamente nella taverna più affollata di Baldur’s Gate. Garrick si è lasciato trascinare attratto dal premio in palio per il vincitore, un bacio di Skie, ma ora, seduto al centro della sala con la lingua incollata al palato e la gola secca, non è più tanto sicuro che sia stata una buona idea.
Il silenzio si protrae, e il pubblico inizia ad agitarsi.
“Che aspetti?” lo incita qualcuno.
Garrick chiude gli occhi. Accarezza le corde per aiutarsi a trovare la concentrazione, pur non traendone alcun suono. Non conosce ballate emozionanti come quella cantata da Eldoth o, se le conosce, non gli vengono in mente. Per la verità al momento non gli viene in mente proprio nulla.
Nulla tranne il sorriso di Skie, che emerge dal buio dietro le sue palpebre chiuse. Garrick si aggrappa a quell’immagine, tenendo gli occhi serrati per non farla fuggire via, e finalmente pizzica le corde traendone un primo, esitante accordo. Le prime note scaturiscono lievi e pure dalla cetra. Si impongono sul rumoreggiare dei presenti, che a poco a poco tace. Il pubblico è di nuovo tutto per lui.
Garrick prende fiato, e si getta a capofitto nel vortice della musica.
Improvvisa.
Le note salgono e scendono, disegnano un’armonia morbida come il profilo delle colline di cui parla la sua canzone. Scorrono leggere come ruscelli, si sfilacciano nell’aria come brandelli di nuvole. La sua voce canta di giornate di sole, di cieli azzurri di primavera e prati bagnati di rugiada. Canta di quanto sia bello assopirsi nell’abbraccio del sole e lasciare le proprie preoccupazioni volare lontano insieme al vento.
Qualcuno, forse Eldoth, ridacchia alle sue spalle. “Che canzone infantile!”
Garrick non ci fa neanche caso. Continua a tenere gli occhi chiusi e si lascia guidare dalla musica. È la musica a condurre lui. Lui, il bardo, non la sta creando. La sta solo scoprendo, rivelandola nota dopo nota.
Solo quando l’ultimo accordo risuona nella stanza e sente il pubblico applaudire si azzarda ad aprire gli occhi. E si ritrova davanti Skie, in piedi a pochi passi da lui. Ha gli occhi lucidi.
“Hai… hai cantato di tutto quello che sognavo quando ero rinchiusa nel palazzo di mio padre” la voce della giovane trema per l’emozione: “Le cose belle che vedevo dalla mia finestra e non potevo raggiungere. La libertà… “ Garrick trattiene il fiato quando lei gli sfiora la guancia con il dorso della mano e avvicina le labbra alle sue. “Merita il premio chi sa vedere con occhi così puri la bellezza del mondo.”
Mentre Skie lo bacia Garrick scorge dietro le sue spalle l’espressione furibonda di Eldoth, e si compiace dentro di sé.
A sfuggire alla vendetta del rivale penserà dopo. Comunque vadano le cose, vale la pena rischiare la vita per un bacio di Skie.
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Personaggio: Sarevok Anchev
Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments.
Rating: Giallo
Avvertimenti: il nome della madre adottiva di Sarevok è di mia invenzione.
Son
Un colpo. Un secondo colpo, poi un grido ed infine un ultimo colpo. Dovrei andarmene di qui, se Rieltar sapesse che sono entrato di nascosto nella sua ala privata della villa … ma le mie gambe sono come inchiodate, bloccate dalle grida disumane che sento oltre la massiccia porta di quercia che mi separa dal mostro.
Poi la porta si apre, e per quanto sappia benissimo chi è la figura che ne sta uscendo mi accosto contro una parete, tuffandomi nelle ombre. Ma non posso ingannare Edya troppo a lungo.
“Sarevok, che stai facendo qui? Non dovresti essere a letto?”
Cerca di nascondere il pianto nella sua voce. Lo fa sempre quando si trova in mia presenza. Ma anche nella debole penombra del corridoio riesco a vedere la sua mano scivolare sul viso, quasi a coprire i segni che quel bastardo le lascia addosso. Ma io li vedo. Le sue esili spalle si stringono, perché sa che la sto guardando e questo non avrebbe mai voluto che accadesse; viene verso di me, e le nostre mani si trovano.
“Perché non te ne vai via di qui?”
Alla domanda Edya fa un sorriso triste e china la testa. I suoi capelli color rame sono bellissimi, e quando accende la candela accanto al mio letto risplendono di una luce meravigliosa che fa sparire anche quella che nasce dalla sua collana d’oro. Il suo viso scintilla per l’unguento che il chierico le ha portato, ma non riesce a celare i due lividi viola che sono sbocciati sotto il suo occhio destro e che lei prova nervosamente a nascondere passandoci davanti ora l’una, ora l’altra mano. Cerco di guardare altrove, so che le faccio del male, ma non ci riesco come vorrei. "È … complicato. Quando sarai più grande lo capirai, tesoro mio”.
“Ma io sono già grande! Ho undici anni, ed il maestro Winski ha detto che non ha mai visto nessuno usare la spada bene come me! E continuo a non capire perché non te ne vai, Rieltar …”
“Non Rieltar”. Mi corregge, e prova a sorridere mentre i suoi occhi piangono. “Padre”.
No.
Quello lì non è mio padre.
Gli piace farsi chiamare così, questo lo so, gli piace sentire il suono di quella parola da me e contemplare il mio sguardo adorante mentre mi mostra le ricchezze della “nostra” famiglia e gli uomini che si uccidono semplicemente per un suo ordine o per raccogliere al volo le briciole che cadono dalla tavola del signore del Trono di Ferro. Gli piace ricordarmi su che gradino ha messo me, il piccolo orfano dalla forza straordinaria che senza di lui non sarebbe nulla, e quello adora ricordarmelo più di ogni altra cosa quando lo accompagno in carrozza per le strade di Baldur’s Gate e mi indica i bambini che chiedono l’elemosina. Una volta ha dato ordine di calpestarne uno sotto gli zoccoli del cavallo. Mi ha sorriso per tutto il pomeriggio.
Edya mi rimbocca le coperte e fa scivolare una mano tra i miei capelli. Anche lei non è la mia vera madre. Ma la sua voce è così bella e le sue mani così gentili che ogni tanto me ne dimentico, soprattutto quando facciamo delle battute sulla barba del maestro Winski e su tutti quegli ambasciatori grassi e viscidi che visitano questa villa praticamente ogni giorno. Viene sempre a vedere i miei allenamenti, e dice che un giorno sarò il suo cavaliere, il più potente di tutti, più forte di qualsiasi paladino dell’Ordine del Cuore Radioso. Non ho mai capito perché abbia sposato Rieltar.
“C’è una cosa che devi capire, Sarevok. Una cosa che anche i grandi sapienti spesso non riescono a cogliere” mormora, quasi in risposta ai miei pensieri. “Le donne fanno cose molto stupide quando sono innamorate” .
Si solleva dal letto, e si accomoda le pieghe del vestito prima di chinarsi su di me. Le ho già detto una volta che ormai sono grande per queste cose, ma stasera il suo bacio sulla guancia mi fa stranamente piacere, anche se è umido delle sue lacrime. “… e poi se me ne andassi sarei costretta a lasciare qui la cosa più bella che gli dèi mi abbiano lasciato”.
Ci sono tante cose che adesso vorrei dirle.
“Non diventare come lui, Sarevok. Non diventarlo mai”.
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Personaggio: Keldorn Firecam
Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: Giallo
Avvertimenti: ambientato anni dopo Throne of Bhaal
Winds of Winter
La luce scintilla lungo il costone di ghiaccio, un fascio abbagliante degno della grandezza di Torm. Gli ultimi raggi del giorno dipingono nella neve delle figure rosa che danzano nel vento gelido, si riflettono sulle nostre armature e volano fino alle vette più alte dei Picchi del Sogno. Tra poco calerà la notte, ed il freddo che già scivola sulle nostre schiene diventerà un gelo implacabile che si farà beffe delle pellicce di lupo o di orso ed entrerà nelle nostre bocche fino a giungere al cuore. I guanti di Lord Ryan non sono bastati a proteggere le mani consumate dagli anni, e adesso due dita sono sepolte chissà dove nella neve. Oltre il vento e il ghiaccio non c’è altro che un bianco senza fine, ma non posso farmi illusioni.
I giganti stanno aspettando, e sanno.
Sanno che siamo pochi. Non abbastanza per resistere alla loro furia.
Le mie dita cercano Carsomyr, e la gemma rossa incastonata manda un calore piacevole attraverso tutta l’elsa. Ma forse è soltanto un’illusione. Ne studio la forma, sento le decorazioni leggere sotto il mio palmo, cerco il potere dei draghi di cui tanto i bardi hanno cantato, anche se mi risponde soltanto il freddo che mi stringe polmoni e dilania quelli dei miei compagni.
Questa spada è nelle mani sbagliate. Quello tra le mie mani è un misero tepore davanti alla luce che sprigionava quando il figlio di Bhaal la impugnava contro lich, draghi e Occhi Tiranni, un bagliore che al mio sguardo era il segno della differenza tra gli dèi e gli uomini.
È stato lui a portarmela nemmeno due mesi fa, alla vigilia della mia partenza. Gli anni iniziano a toccare anche il suo viso, eppure non sono nulla rispetto alle rughe intorno ai miei occhi. Avrei voluto chiedergli di venire con noi in ricordo dei vecchi tempi e nel nome del Cuore Radioso, ma non ne ho avuto il coraggio: la sua maga selvaggia è sparita per l’ennesima volta, e leggevo il suo nervosismo mentre riempivamo di buon idromele i nostri boccali.
Non abbiamo rievocato i tempi andati, né i combattimenti schiena contro schiena davanti a torme di orchi o le fiamme dei draghi mentre cercavano di prendere le nostre vite col fuoco e con le zanne.
Abbiamo parlato dei nostri errori. E di Ajantis.
Nella vallata i giganti si preparano. Le loro voci scuotono le vette, un grido di battaglia fa scivolare una lastra di ghiaccio poco lontano dal nostro accampamento, ed una cascata di schegge sale davanti ai nostri occhi mentre riempie il passo innevato che ci separa dagli invasori. Sappiamo tutti e sei che i rinforzi dell’Ordine non arriveranno prima di tre giorni.
“Lord Keldorn …” mormora il chierico Vemen, forse l’unica persona più anziana di me. “Ha preso in considerazione l’idea della ritirata? Lathander insegna che c’è onore anche per chi indietreggia, e voi non lo fareste certo per mancanza di coraggio”.
“Qui non si parla di coraggio. Si parla di fare il proprio dovere fino alla fine. Se i giganti dovessero raggiungere i villaggi oltre le montagne non potrei mai perdonarmelo. Ho commesso abbastanza errori nella mia vita, Vemen” mormoro accarezzando l’elsa dorata “… non credo che sarei in grado di sopportarne altri”.
Era mia la spada che trafisse il petto di Ajantis. Ed erano mie le mani che la estrassero in preda al panico quando i lineamenti dell’orco che avevo abbattuto in nome di Torm si trasformarono in quelli del mio apprendista sfigurati dalla smorfia di dolore proprio mentre l’incantesimo delle colline di Windspear portava via da me il suo ultimo sguardo. Potrei combattere i giganti per tutta la vita, ma le loro spade non cozzeranno mai con la stessa forza di quel giorno che ancora adesso mi sembra di sentir rimbombare nel fondo della mia mente quando la terra annuncia l’avvicinarsi dei nostri nemici.
Nessuno di noi abbandonerà questo passo. Forse perché tutti abbiamo qualcosa di amaro nel profondo del cuore, qualche fantasma che ci insegue quando chiudiamo gli occhi o lanciamo occhiate di sfuggita a questa landa desolata. Nessuno chiede, perché in fondo tutti sappiamo.
I giganti iniziano a suonare i loro corni.
“Alla battaglia! Senza rimpianti!”
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Personaggio: Yoshimo
Genere: introspettivo, drammatico
Rating: giallo
Avvertenze: non ho saputo resistere e mi sono basata sulla prima "stesura" di BG2, poi eliminata dalla versione finale del gioco, in cui Yoshimo era il fratello di Tamoko e cercava vendetta per la sua morte. Nella storia sono presenti quindi alcuni elementi in contrasto con la versione definitiva della storia di Yoshimo nel gioco canonico. Anche stavolta il titolo si rifà a una canzone di Ayreon: siete autorizzati ad accusarmi di monotonia XD
“But as I poise on the edge of life
The charm of the seerwhere time disappears
I bow in fear
to the charm of the seer.”
(Ayreon, “The Charm of the Seer”)
Il Figlio di Bhaal urla di dolore, contorcendosi disperatamente tra le sbarre della gabbia mentre l’ennesima sfilza di dardi incantati gli trafigge il petto.
“Interessante.” il mago sorride, osservando compiaciuto la sua vittima. Nell’oscurità del sotterraneo, i bagliori intermittenti degli incantesimi serpeggiano tra l’intrico di vene che gli deturpa il volto, rendendolo se possibile ancora più grottesco. “Hai molto potenziale inespresso.”
Per un attimo il carnefice sembra fermarsi a riflettere, poi la tortura riprende. Un incantesimo dopo l’altro, fulmini, fuoco, ghiaccio in rapida successione, senza un attimo di respiro.
Dal suo angolo nell’ombra, Yoshimo osserva in silenzio.
Assapora ogni grido, ogni convulsione, ogni ferita inferta al corpo martoriato dell’elfo. Ogni lamento del Figlio di Bhaal è un inno alla memoria di Tamoko, un canto per placare il suo spirito inquieto e dargli il riposo che merita nell’aldilà.
Nei mesi precedenti Yoshimo ha percorso in lungo e in largo la Costa della Spada alla ricerca della sorella, spronato da un presentimento senza nome che gli ha fatto dimenticare il sonno e la fame per giorni interi. Le tracce infine lo hanno condotto alla caotica città di Baldur’s Gate, dove la sua ricerca si è conclusa di fronte all’enorme portone a battenti di un tempio sotterraneo dimenticato dagli dèi e dagli uomini.
Ancora adesso il ricordo del corpo di lei freddo e inerte tra le sue braccia gli strappa un tremito. La figura dell’elfo torturato si appanna davanti ai suoi occhi, i contorni diventano sfumati, e Yoshimo si ritrova a scacciare le lacrime con un gesto furioso della mano. Il bastardo potrebbe morire mille volte, e ancora non sarebbe sufficiente. Non lo sarebbe mai.
“Possibile che non ti rendi conto del tuo potenziale?”
Difficile che nella sua mente sconvolta dal dolore l’elfo riesca a capire le parole del suo carnefice. Il mago sembra nutrire una vera e propria ossessione per il Figlio di Bhaal, per ragioni che Yoshimo non riesce a immaginare. Né per la verità gli interessa. Sa solo che Jon Irenicus ha dato uno scopo alla sua sete di vendetta rivelandogli il nome dell’assassino di Tamoko, e questo gli basta.
Una serie di passi metallici e cadenzati distoglie il mago dalla sua vittima. Il golem si presenta al cospetto del suo creatore, parlando con una voce profonda che sembra scaturire dalla terra stessa:
“Altri intrusi sono entrati nell’area, padrone.”
Irenicus sembra infastidito, ma non sorpreso: “Hanno agito prima di quanto ci aspettassimo. Pazienza. Il piano è solo rimandato.”
“Rimandato?” interviene Yoshimo mentre il golem ritorna obbediente al suo posto. “Avevi promesso che sarei stato io a dargli il colpo di grazia.”
Tra le dita di Irenicus si sta già formando un globo di luce verdastra, probabilmente un incantesimo di teletrasporto. Il mago si volta verso di lui, e sembra accorgersi per la prima volta della sua presenza.
“E lo farai.” dice in tono neutro, piatto. “Ma non qui, non ora. Potrei aver bisogno che tu conduca il Figlio di Bhaal in un luogo più… appropriato.”
“Non erano questi i patti. Ti ho aiutato a catturare l’elfo e i suoi compagni. Ora voglio quello che mi spetta.”
Se il mago pensa di usarlo come uno dei suoi golem tirapiedi si sbaglia di grosso. I giochi di potere di Irenicus non lo riguardano. Forse un tempo si sarebbe lasciato tentare dalle ricompense, dalla possibilità di guadagno, dai vantaggi che vengono dal servire un uomo di grande potere… ma ora tutto questo si dissolve come una manciata di sabbia nel vento di fronte ai grandi occhi neri di Tamoko, colmi di una tristezza senza fine che reclama riscatto e vendetta.
Irenicus non risponde, si limita a fare un gesto con la mano e lasciar svanire l’incantesimo. Il suo volto non tradisce alcuna espressione, una maschera mostruosa che cela ogni pensiero e intenzione. Istintivamente la mano di Yoshimo corre alla cintura, attorno all’elsa del pugnale.
In quel momento mille scintille di dolore gli esplodono nel petto.
Crolla in ginocchio, le dita che artigliano freneticamente la casacca e arrivano a graffiare la pelle nel vano tentativo di domare l’incendio che gli divampa dentro. Quando tenta di urlare, solo un rantolo soffocato esce dalla sua bocca spalancata.
La figura del mago torreggia impassibile su di lui, opaca e tremolante attraverso un velo di lacrime.
“Temo che tu abbia bisogno di un piccolo… incoraggiamento.”
Irenicus solleva un dito e una vampata più ardente delle altre gli divora la gabbia toracica. Tamoko piange, il suo bel viso sconvolto dalla paura gli scivola via dalla mente sommerso da un’ondata insopportabile di dolore mentre un artiglio di fiamma gli stritola il petto, e il geas prende definitivamente il controllo del suo cuore.
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Personaggio: Skie Silvershield
Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: Giallo
Avvertimenti: nessuno
Heavy Rain
“Che c’è, la piccola principessa vuole tornare a casa?”
Sì. Voglio tornare a casa. Le parole di quell’uomo continuano a rimbombarmi nella testa, cariche di tutto lo scherno che il suo sorriso può caricare; dopo aver scagliato a terra la sua arpa sono uscita fuori, quasi senza respiro.
Piove.
A quest’ora Walla avrà già dato disposizioni alle cameriere per la colazione di domani, e mamma sarà a letto chiedendosi quanto ancora dovrà aspettare il ritorno di papà. Forse stasera hanno mangiato il coniglio, quello che Rick cucina così bene, e magari l’odore sarà arrivato fino alla mia stanza vuota.
L’unico odore di questa piccola città –Beregost, credo si chiami Beregost ma ormai non sono sicura nemmeno di quello- è il tanfo che esce dal bordo della strada, dove l’acqua che scende senza sosta si mescola al letame delle vacche e crea dei rivoli marroni che serpeggiano proprio nell’angolo che ho scelto per ripararmi, l’unico con un semplice residuo di tettoia in fango che riesca a reggere la furia dell’acquazzone. Ho freddo. Il mantello è bagnato fino all’ultima fibra, e più che un conforto sembra una mano fredda che mi si stringe intorno al corpo.
“Sono una stupida. Una vera stupida” mormoro tra le labbra, quasi a cercare conforto nel sentire la mia stessa voce sopra la pioggia battente. Solo una stupida avrebbe abbandonato di nascosto la villa dei propri zii, rubando un cavallo dalle stalle per partire in cerca di avventure. Ma nemmeno la più stupida delle stupide sarebbe partita con solo una manciata di monete d’argento nel vestito, convinta di poter vivere di piccoli furtarelli e di un po’ d’ingegno.
Un gatto mi passa vicino, anche lui alla ricerca di un riparo. Sembra il mio piccolo Miele, ma è molto più magro ed ha il passo veloce. Provo ad acchiapparlo, a stringerlo a me per trovare almeno un po’ di calore in quella forma pelosa, ma per tutta risposta quello soffia, mi graffia e salta giù dalle mie braccia tuffandosi in un vicolo.
Papà dice sempre che un Silvershield non piange in alcun caso, men che mai davanti a qualcun altro; ma non c’è nessuna figura intorno a me, nessuno che possa distinguere le mie lacrime dalle gocce di pioggia. E allora piango, piango perché ho fame e perché sono la più stupida ragazza di tutta Faerûn. Un rombo di tuono sovrasta l’istante successivo. Copre ogni cosa, anche i passi che vengono nella mia direzione, e quando mi accorgo che qualcuno è entrato nel mio spazio vitale mi ritrovo con il polso intrappolato in una mano che non lascia vie di fuga. “Adesso bellezza tiri fuori duecento monete d’oro e mi ricompri l’arpa, altrimenti …”
Provo a liberarmi, ma scivolo nel fango e mi ritrovo per terra, la mano sinistra ancora prigioniera della sua. Il suo alito puzza di birra ed idromele, e gli occhi sono lucidi, coperti da una sottile patina rossastra. È ubriaco. Non ho idea di come le parole riescano ad uscire ancora dalla mia bocca senza trasformarsi in un unico suono inarticolato, forse la paura di quello che potrebbe farmi …
“Io … adesso non le ho, davvero, io …” il suo sguardo è così orribile che me lo sento nello stomaco. “… te ne darò il doppio, promesso! A-anzi, il triplo! Devo solo tornare a casa e …”
“Tsk, lo dicevo io che eri una piccola principessa fuori dal suo bel castello. Che c’è, volevi provare l’ebbrezza della vita di noi poveracci?”
Sì, sono solo una piccola principessa così stupida dal rimanere in silenzio davanti alla sua accusa. Vorrei dirgli cosa vuol dire rimanere confinata nella stessa casa per giorni, uscire solo con una coppia di guardie, sapere che i propri genitori hanno una lista di nomi dei migliori nobili della città con cui programmare il mio matrimonio, il non poter mai saltare su un cavallo e galoppare, galoppare lontano con il vento nei capelli. Potrei gridare, ma continuo a piangere. Questo non gli impedisce di abbandonare la presa. “Ammesso che sia vero quello che dici … che ricompensa mi aspetterebbe se ti riportassi a casa? Non hai la faccia di quella che …”
Non termina la frase; deve aver letto la luce nei miei occhi, il mio cuore che ricomincia a battere. “Tutto quello che vuoi! Mille, duemila monete d’oro –dico, quasi come se un raggio di luce avesse appena riscaldato la giornata- ma ti prego, puoi riportarmi a casa?”
“Veramente avevo in mente un’altra ricompensa …”
È un attimo. Mi strattona per il polso con una forza incredibile per un uomo della sua stazza, e le mie labbra rimangono intrappolate tra le sue non appena cerco di rimettermi in piedi e trovare l’equilibrio. Vorrei che fosse un caso, ma la sua mano mi guida la testa ancora in avanti ed il bacio si approfondisce in una maniera … strana … Posso sentire l’odore di birra fin nei polmoni. Una parte di me, le mie spalle cercano di opporsi a quell’invasione, ma le gambe rimangono immobili piantate nel fango. “Sfortunato chi ti si sposa, principessa!” sogghigna mentre riprende fiato. “Baci in maniera terribile! Da dove vieni?”
“Da Baldur’s Gate …”
Il cuore inizia a battere senza sosta, come se tutti i tamburi dei nani stiano suonando contro il mio petto. Se papà sapesse anche solo lontanamente che …
“Baldur’s Gate? Eccellente! Abbiamo tre giorni per fare pratica!” mi libera il polso, e per un istante il volto sembra meno minaccioso. Ma forse è soltanto colpa della pioggia. “Allora, quando partiamo, sua altezza?”
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Domanda a chiunque abbia trovato il coraggio di leggere: secondo voi è il caso di estendere queste short stories anche ai personaggi della ToB? Molti png (come i Cinque) potrebbero essere buoni spunti, anche se altri mi fanno mettere le mani nei capelli...
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Personaggio: Kagain
Genere: introspettivo, missing moments
Rating: verde
Avvertimenti: è scritta di cacca.
Diamonds are a dwarf's best friend
Se chiedi a una persona qualsiasi chi era Durlag, risponderà quasi sicuramente “il nano più sfortunato della storia”. Pochi, molto pochi ricordano che è stato anche il signore dei nani più ricco che abbia mai camminato su Faerûn.
Kagain preferisce di gran lunga il secondo punto di vista: più vincente, più vantaggioso.
La spedizione finora è stata un successo. Rubini, zaffiri e diamanti come se piovesse, oltre a una quantità semplicemente vergognosa di monete d’oro. Già dopo il primo piano sotterraneo ogni anfratto dello zaino, delle tasche e delle bisacce di Kagain è pieno fino all’inverosimile, e il nano avrebbe quasi voglia di baciare la maga selvaggia che ha acconsentito a condividere con lui la sua borsa conservante.
Se non fosse per le occhiate di disprezzo e le frecciatine di Yeslick sarebbe una giornata davvero perfetta. Con quelle sue sopracciglia aggrottate e le labbra perennemente atteggiate in una linea dura e sottile il chierico sembra l’effige vivente di Helm giudicatore. O la sua versione nanica, per lo meno. Kagain sente il suo sguardo severo bruciargli sulla schiena ogni volta che con l’ascia frantuma un vecchio forziere per svelarne i tesori nascosti, più irritante di qualsiasi scheletro, ghast o Doppelgänger abbiano incontrato finora.
“È colpa tua se quei ragni ci hanno attaccati prima” lo ha accusato addirittura qualche stanza fa. “Hai perso troppo tempo a cercare nella sala d’armi.”
E quando tu ti sei fermato a blaterare preghiere per la famiglia di Durlag e ci sono sbucati cinque golem alle spalle, allora?
O peggio, quando li ha costretti tutti ad ascoltare la triste storia del suo passato, del suo clan sterminato, del tradimento di un presunto amico...
“Per certi versi la storia di Durlag mi ricorda la mia. I Doppelgänger lo hanno colto di sorpresa prendendo le sembianze dei suoi cari…. e allo stesso modo io sono stato ingannato da un essere spregevole che si nascondeva dietro la maschera dell’amico.”
Per farla breve, una sere di sviolinate patetiche come non se ne sentono nemmeno nelle canzoni da quattro soldi del più ubriaco dei bardi.
Il Figlio di Bhaal fa cenno che il corridoio è sgombro da trappole e Kagain si mette in testa al gruppo, l’ascia sguainata e un occhio sempre fisso sulla maga e il suo prezioso contenitore di gemme. C’è una svolta pochi metri più avanti. Il nano prosegue rasente al muro, i sensi tesi a captare ogni possibile segno di pericolo.
Un urlo improvviso li inchioda sul posto, raggelandoli. Stavolta non è il verso di una bestia o di una creatura mostruosa, lo hanno sentito tutti. È una voce umana, infantile.
“Aiuto! Vi prego… aiutatemi!”
Prevedibile. Non fa in tempo ad afferrarlo per un braccio che Yeslick si lancia in avanti roteando il martello come un ossesso.
“Per Moradin!”
Kagain impreca e lo segue di corsa. Ancora prima di svoltare l’angolo già vede chiara con gli occhi della mente la scena che sta per comparirgli davanti. La pelle del bambino che si accartoccia come una pergamena consumata dal fuoco, rivelando le sembianze grottesche di un Doppelgänger. Yeslick colto di sorpresa, sbilanciato all’indietro, troppo lento a sollevare il martello per difendersi.
Il colpo lo atterra e l’arma gli rotola via dalle mani. Solo l’ascia di Kagain si para tra lui e una fine sicura, aprendo in due il mostro con un colpo netto e facendo schizzare il suo icore viscido e disgustoso tutto intorno. L’espressione sconcertata sulla faccia del chierico è impagabile.
“Tu mi ritieni solo un predone avido e senza scrupoli” gli dice Kagain più tardi, quando il gruppo riprende la marcia nei sotterranei della torre di Durlag. Per un po’ i due nani camminano fianco a fianco, e trascorrono parecchi istanti di silenzio prima che l’altro si decida a rispondere.
“Non solo io” borbotta infine il chierico, senza neanche degnarsi di guardarlo in faccia. “È un dato di fatto.”
“Però vedi, anch’io ho i miei motivi. I parenti ti ingannano. Gli amici ti pugnalano alle spalle. Chi sostiene di amarti può diventare il tuo peggior nemico.” Yeslick continua a fissare dritto davanti a sé, muto e ostinato. “Ma questi, caro il mio chierico… “ da una delle bisacce agganciate alla cintura Kagain estrae un diamante grezzo, sollevandolo in modo che la luce delle torce si rifletta in guizzi luminosi sulla sua superficie sfaccettata.
“Questi non ti tradiscono mai.”
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