Personaggio: Viconia DeVir Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico Rating: giallo Avvertimenti: basata su avvenimenti narrati nei dialoghi della romance di Viconia
In the dark of the night I was tossing and turning And the nightmare I had was as bad as can be - It scared me out of my wits - Then I opened my eyes And the nightmare was... me! (“In the Dark of the Night”, Anastasia)
Nella notte e nel buio
Il vento è una raffica di lame affilate come rasoi. Il suo ululato pervade la foresta, sferza i rami spogli degli alberi e dà vita a un sinistro concerto che le ricorda un’avanzata di guerrieri non morti e il cozzare delle ossa contro il metallo di spade e armature. Gli ingenui rivvil hanno interrotto la caccia, sicuri che la notte e la tempesta in arrivo completeranno l’opera da loro iniziata. Sciocchi. La notte è quanto di più vicino alle tenebre del Sottosuolo esista nel mondo di superficie: l’ora perfetta per i drow. L’ora perfetta per le streghe. Il vento cancella in un attimo le sue impronte sulla neve. Viconia si avvicina al gruppo di fattorie come uno spettro, senza lasciare tracce, il lungo mantello nero che ondeggia a imitazione di quello della notte. Uno degli umani esce di casa per prendere altra legna da aggiungere al fuoco, una figura incappucciata che si strofina le mani nel vano tentativo di proteggerle dal freddo. In un attimo si ritrova faccia a faccia con la sua mazza ferrata. Neanche il tempo di urlare e il suo corpo si abbatte al suolo. Il suo sangue schizza sul viso di Viconia e tinge la neve di rosso. “Assassina… “ l’uomo riesce solo a rantolare, la sua voce troppo debole per chiamare aiuto. “Strega… tu… hai ucciso Roran e i suoi figli… “ L’ultimo sguardo del rivvil morente è carico di odio, di accusa, di paura. Assassina, certo. Roran invece era un brav’uomo, che ha fatto solo il suo dovere catturando e cercando di uccidere una perfida drow. E di certo lui e i suoi figli hanno compiuto un atto meritevole nell’abusare di lei prima di decidere di farla fuori. È la giusta punizione che la strega drow merita per una vita condotta nella lussuria e nel peccato. Viconia si inginocchia nella neve e appoggia il palmo sul corpo ancora caldo dell’uomo. Il potere di Shar, la Signora della Notte e della Perdita, accorre rapido al richiamo della sua umile servitrice, sorge come una fiamma ghiacciata dal centro del suo petto e scorre lungo il braccio e la mano fino a riversarsi nel cadavere, colmandolo di nuova energia. Il rivvil si rialza come tirato da fili invisibili, barcollando, gli occhi vuoti e privi di vita. Viconia sfiora con la punta delle dita il contorno del suo viso e gli sussurra all’orecchio: “Sai qual è il tuo compito, mio guerriero non morto.” I rivvil temono la strega, e per questo le hanno dato la caccia fin dal giorno della morte di Roran, braccandola come un animale. Si sono schierati dalla parte del loro simile, incapaci di credere che una drow desiderasse soltanto vivere indisturbata, in una semplice casa come tante altre alla periferia di Beregost. In un certo senso, hanno vinto loro. Perché la strega di cui tanto parlavano alla fine è arrivata davvero. È venuta a prenderli, volando su ali di tenebra e gelo. Nella notte e nel buio maledirà i loro figli, brucerà le loro case, distruggerà il loro raccolto. Ghermirà le loro vite, ne spezzerà il filo con i suoi artigli velenosi. Un sorriso increspa il volto bellissimo della strega mentre il non-morto rientra in casa e le prime urla squarciano il cielo dell’inverno. Il pianto e le grida dei rivvil si mescolano al rombo del vento, e in pochi minuti decine di altri cadaveri dagli occhi spenti si aggirano per le case, incuranti del morso del gelo e della neve che danza vorticando e appiccicandosi ai loro visi esanimi. I pochi che riescono a scampare ai non-morti incontrano il ferro della sua arma e il fuoco implacabile della sua magia. Solo quando l’ultimo respiro si spezza la strega decide che può bastare. Affranca i non-morti dal suo dominio, lasciandoli liberi di vagare senza scopo tra le rovine delle case. D’ora in poi infesteranno la foresta, portando l’ombra del suo rancore e della sua vendetta su altri maledetti rivvil. Un ultimo sguardo alle fattorie devastate e la strega si volta. Si stringe nel mantello nero e senza lasciare tracce scompare oltre il cerchio degli alberi, dileguandosi nella notte e nel buio.
Ecco a voi una nuova storia, scritta piuttosto di getto e che non mi soddisfa tantissimo. Purtroppo l'ispirazione si è fermata a metà e non ne ha voluto più sapere di risalire.
Personaggio: Nalia de'Arnise Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments. Rating: verde Avvertimenti: si collega ad una storia scritta da Lisaralin.
Escape
Sto volando. Il balcone si allontana a una velocità impressionante, il vento batte nelle orecchie più forte di qualsiasi tamburo mentre nel buio si staglia soltanto lo stralcio di un lenzuolo bianco che ghigna verso di me, non più annodato. Grido, grido ancora più forte, e l’unico pensiero è che per quanto io possa urlare non sboccerà mai nessun paio d’ali che mi possa far tornare indietro. Perdonami, Clara.
Tutto avevo progettato, tranne un’invasione di parenti distanti chissà quante miglia sull’albero genealogico. Hendron si era offerto di coprire il turno di guardia delle nove e trenta per aprirmi il portone con il fare della sera, ma la clessidra aveva da poco indicato le undici quando la seconda portata di carne era sfilata sotto il mio naso. Zia Delcia è stata ancora più insopportabile del solito. “Tua cugina di qua, tua cugina di là” … se la sposasse, mia cugina! Lei ed il suo accento da principessina di città con un vestitino che sarà costato quanto la casa della povera Clara … senza contare i suoi interessantissimi discorsi su un unguento speciale proveniente nientedimeno che da Calishman per curare le unghie spezzate. Ovviamente durante la ventesima portata zia Delcia si è lanciata in un’orazione sullo stato pietoso delle mie unghie, e quando ho cercato di cambiare discorso fingendomi interessata ad un’eventuale matrimonio della mia adorabile parente la situazione mi è sfuggita di mano. O meglio, è sfuggita dalla bocca di papà quando ha nominato il rampollo dei Roenall. E lì si è scatenato il temporale che ha imperversato fino al secondo giro di dolci finché mia cugina ha annunciato di essere stanca e si è ritirata nelle sue stanze. A quest’ora Clara avrà finito di cenare e si starà domandando che fine io abbia fatto. Purtroppo il turno di Hendron è terminato da poco, dunque l’unica soluzione è quella di improvvisare; le lezioni sui nodi di Hurgan e delle vecchie lenzuola affiorano in un angolo della mente al momento opportuno. Il regalo per il compleanno della mia migliore amica mi preme contro il corsetto, ma se la zietta si accorgesse che ho accidentalmente trafugato una delle sue mille spille non riuscirei a mettere il naso fuori dalle mie stanze per i prossimi quindici anni. La fune improvvisata regge. Assicuro i lenzuoli al baldacchino del mio letto con altri tre nodi e la getto dalla finestra; dopo pochi istanti la corda attraversa il buio ed arriva fino a terra. Perfetto. Pazienta ancora qualche minuto, Clara. Una volta superato il balcone c’è solo il vuoto. I piedi trovano il muro prima ancora che le mani abbandonino la balaustra. La mano destra si stacca e afferra la stoffa, ed in un istante il vento mi ricorda che sono a dieci metri da terra. Le dita tremano. Non devo guardare. Quando la mano sinistra cerca la fune scopro di essere leggera. Come una nuvola. Grido come non ho mai fatto in vita mia, la gola brucia ma all’improvviso qualcosa mi afferra il polso e vi affonda delle unghie che pongono fine al mio urlo ed al volo senza ritorno. Due braccia esili entrano nel mio campo visivo, ed una serie di imprecazioni lanciate da una voce elegante e soave come un Deva accompagnano la mia risalita. “Ho sempre pensato che fossi una perfetta idiota …” mormora la mia salvatrice, fissandomi con un’espressione che manderebbe in sollucchero zia Delcia. “Ma scappare in un modo così stupido … fattelo dire, cuginetta, ne hai di cose da imparare!” “Skie, ti prego, non …” “Dirlo a tua zia? Ci mancherebbe altro! Altrimenti si chiederebbe come mai mi trovavo nella tua stanza invece che nella mia! E spiegarle che il tuo balcone è quello più vicino a terra di tutta la vostra decrepita fortezza non credo che le andrebbe a genio!” sorride con la sua espressione perfettina che riempie di agre un ipocrita sorrisetto complice. Il suo sguardo disgustato va da me alle lenzuola annodate, poi solleva la gonna ed una fune scivola dalle balze del vestito legandosi al letto con un nodo così rapido che a malapena riesco a seguire il movimento di quelle mani perfettamente curate. La lancia oltre il balcone e la tira con tutte le forze per un paio di volte, saggiandone la resistenza finché non appoggia le mani ai fianchi in modo soddisfatto. “Non vorrai rovinare l’appuntamento con il tuo principe azzurro fracassandoti al suolo, no?” “Non c’è nessun principe azzurro, Skie” rispondo, osservandola mentre inizia lei stessa una paurosa discesa nel vuoto, la stessa principessa che meno di un’ora fa parlava di vestiti, unghie e matrimoni con la stessa eleganza con cui adesso scivola contro il muro, appoggia i piedi e lentamente scompare. Potrei giurare che in basso c’è un uomo a cavallo ad attenderla, ed un oggetto dorato risplende per un istante alle luci della fortezza prima di scomparire sotto un mantello. “Solo un’amica che ha bisogno di me …” Suppongo che alla mia lontana cugina il discorso non importi più. Forse non lo ha nemmeno sentito. La tensione della corda diminuisce di colpo ed in un battito di ciglia scompare, impeccabile come sempre e con la scia di profumo che ancora impregna la fune, unico segno del suo passaggio. Sicuramente domani mattina sarà nel suo letto perfettamente riposata, e nel suo abito non compariranno le pieghe che invece faranno capolino sul mio; ma la corda è ancora qui, salda contro ogni logica, perfetta davanti alle mie semplici lenzuola. Una lezione interessante, ma nulla potrà superare lo sguardo di Clara quando scoprirà che la sua amica non ha scambiato una serata in sua compagnia per una riunione di stupidi e pomposi nobili. Respiro di nuovo ed inizio a scendere.
Personaggio: Valygar Corthala Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments Rating: verde tendente al giallo Avvertimenti: basata sul finale di Valygar post Throne of Bhaal. I nomi della moglie e del figlio di Valygar sono di mia invenzione.
Sete di libertà
“Ispettore Corthala, gli atti degli ultimi processi sono sulla sua scrivania.” “Ispettore Corthala, il carico di rape rubate è stato sequestrato come da suo ordine. Procederà lei all’interrogatorio dello gnomo?” “Ispettore Corthala, le ricordo che la riunione straordinaria del Consiglio inizierà tra dieci minuti.” “Ispettore Corthala… “ “Basta così.” Il trio di attendenti rimane spiazzato dalla durezza del tono. Dopo tanti anni al servizio dell’Ispettore Capo più pacato e tollerante che Athkatla ricordi devono aver dimenticato cosa significa essere redarguiti. Valygar approfitta dell’attimo di esitazione e allunga il passo, guardando dritto davanti a sé per non incontrare le loro facce costernate. La terrazza in fondo al corridoio gli appare come un miraggio, un quadrato di luce che sembra tentarlo con promesse di conforto e ristoro. La prima boccata di aria fresca è una benedizione per i suoi polmoni soffocati da ore trascorse tra scartoffie e riunioni tediose. Chino sulla balaustra che si affaccia sui giardini del Consiglio dei Sei, Valygar inspira come un disperato in procinto di annegare. Come se ogni respiro fosse l’ultimo. Un soffio di vento si impadronisce di una ciocca dei suoi capelli e la fa ondeggiare davanti al viso; nella luce del tramonto, le striature grigie sembrano ancora più evidenti. Non ho più l’età per questo. Tutto è diventato immensamente più difficile dopo la morte di Alyanne. Il vento gli porta il ricordo di infinite serate trascorse insieme su quella stessa terrazza, abbracciati a guardare il sole dipingere di rosso e oro i tetti di Athkatla e la vita frenetica della Città della Moneta cedere il passo alla quiete della notte. “C’è poco verde ad Athkatla” era solito lamentarsi con la moglie, affondando il viso e le inquietudini di una lunga giornata di lavoro nel profumo dei suoi capelli. Lei allora gli regalava una delle risate melodiose che gli rimescolavano il sangue nelle vene: “Scherzi, tesoro? Il Quartiere Governativo è pieno di parchi!” Parchi, già. Aiuole rasate con precisione millimetrica, cespugli senza neanche un rametto fuori posto, impeccabili nei loro abiti verdi quanto le nobildonne che vi passeggiano accanto. La natura ad Athkatla è una bestia addomesticata. Il bosco, quello vero, è un’altra cosa. Nessuno lo sa meglio di un ex ranger. Da dove si trova non vede gli alberi, ma può immaginarli se spinge lo sguardo oltre la distesa di tetti e il cerchio imponente delle mura cittadine. Chilometri e chilometri di foresta inviolata dalla mano dell’uomo, un rifugio da occhi e orecchie indiscrete per chi sa come dileguarsi nel suo abbraccio. I suoi vecchi amici, il Figlio di Bhaal e la sua maga selvaggia, devono essere là fuori da qualche parte. Gli hanno inviato un messaggio giusto qualche giorno fa, poche righe per invitarlo a unirsi all’ennesima caccia ai maghi rossi. Pare che un piccolo nucleo di Thayani si nasconda proprio nei boschi intorno la città, e ovviamente non mancano gli inevitabili maghi selvaggi da salvare. Sono troppo vecchio ormai per giocare all’eroe. Non ha ancora risposto al messaggio. Sono anni che non li incontra di persona: l’ultima volta è stato per la commemorazione in onore di Keldorn, il loro vecchio compagno di avventura. Non potrà mai dimenticare il suo ultimo messaggio. Una disperata richiesta di aiuto, vergata in fretta da mani intrizzite dal gelo nei passi montani intorno ad Amn assediati dai giganti. Valygar ha praticamente forzato la mano del Consiglio ottenendo l’invio di un intero reggimento, e ha cavalcato giorno e notte per portare rinforzi all’amico di un tempo. Non abbastanza in fretta. “Ispettore Corthala… la riunione… “ Uno degli attendenti si è deciso a seguirlo sulla terrazza. Ovviamente la tregua non poteva durare a lungo. Il solo pensiero di rientrare nell’accaldata sala del Consiglio gli fa salire un’ondata di nausea. Improvvisamente lo prende il desiderio di rivedere i vecchi amici, di brindare con loro alle passate avventure e al ricordo dei compagni caduti. Di respirare ancora una volta i profumi del bosco e della terra umida sotto i piedi, lontano dal puzzo acre e stantio della città. Sa che deve farlo subito. Se perde ancora tempo a pensarci la razionalità avrà il sopravvento e lo fermerà. Con un gesto si libera del mantello di velluto con le insegne di Athkatla, lasciandolo cadere a terra. Abiti più comodi lo attendono nella sua vecchia casa al Quartiere dei Moli, dove tutto è rimasto esattamente come un tempo. Il suo secondo è più che preparato a gestire la situazione in sua assenza, e i messaggi di Aster dall’accademia degli Stregoni Incappucciati non fanno che ripetere quanto il figlio si trovi bene e sia felice di imparare. Tutto sommato può concedersi una breve vacanza. L’attendente trattiene il fiato quando lo vede scavalcare la balaustra. Poggia i piedi su un cornicione finemente intarsiato, pensando che tutte quelle statue e decorazioni che ha sempre considerato pacchiane ora serviranno solo a facilitargli la discesa. Le ginocchia scricchiolano, ma la sua presa resta salda, e le mani non tremano. Forse non sono ancora così vecchio. “Ispettore Corthala…. “ il tono dell’attendente è a dir poco scandalizzato. “Si può sapere dove va?!” La risposta arriva quando ormai Valygar ha quasi toccato il suolo. “A caccia di maghi rossi.”
Nevica? E' la fine del mondo? Sono scesi i marziani? No, è white che ha finalmente partorito un'idea su Edwin (sempre sia lodato chiunque abbia inventato i titoli delle sottotrame di Dissidia final fantasy) ... stavo scrivendo un'altra cosa poi sono rimasta fulminata ed ho scritto prima che l'idea volasse via.
Maledizione! Niente, assolutamente niente. Ma ci deve, ci DEVE essere qualcosa! La punta del bastone genera una luce troppo fioca, ma se evocassi una vera palla di fuoco (non come gli incantesimi di quella avariel da circo) finirei per distruggere quel poco che rimane in questa cripta. Dai vasi canopi esce solo cenere annerita dal tempo, tutto ciò che rimane di quel bastardo di Nevaziah e dei suoi apprendisti; nulla, quello che sembra un antico grimorio mi si sgretola tra le dita appena ne giro la copertina mentre anche l’aria nei miei stessi polmoni si fa putrescente. Vorrei ignorare il sorriso sarcastico di Haer’Dalis e le battute di quella stupida ranger formato tascabile, ma le loro voci rimbombano insieme all’ennesimo vaso di coccio che va in frantumi senza rivelare il segreto che quel dannatissimo lich si è portato in chissà quale angolo dell’Abisso. “Deve pur essere da qualche parte!” mormoro per scacciare il silenzio che lentamente si fa strada nella cripta. Ma la voce che riempie la stanza non è la mia. Appartiene a una donna, una bellissima donna dal vestito rosso che sta disperatamente cercando in questa tomba qualcosa per scacciare la disgraziata maledizione di cui è rimasta vittima. La stessa che da dieci giorni mi guarda dall’altra parte dello specchio e che adesso mi lancia uno sguardo furente dalla superficie metallica di un vecchio scudo di bronzo illuminato dal mio bastone. “Edwin, dietro di te!” Un ghoul esala l’ultimo fiato della sua non-vita proprio davanti al mio visto mentre cade a terra, il cranio colpito da una freccia; un secondo allunga la sua mano scheletrica nella mia direzione (come DIAVOLO ho fatto a non accorgermi di loro), ma un’ombra scivola nella sua direzione, nera e veloce come un vero impulso di tenebra. Un pugnale riflette la poca luce della cripta trapassando il ghoul alle costole, mentre una coppia di canini affonda nel collo della bestia agonizzante tingendo le pareti di icore giallastro. Il primo non-morto cerca ancora di alzarsi, ma stavolta sono abbastanza pronto e la vampa infuocata che mi nasce dalle dita è sufficiente a garantirgli un lungo, eterno riposo. La mia salvatrice sorride soddisfatta, scivolandomi al fianco come la regina delle ombre. “Hai del coraggio a scendere qui sotto …” “Più che coraggio direi … una necessità impellente” le rispondo cercando di ignorare il profumo che emana il suo corpo decaduto. Hexxat racconta di sogni e magia al lume di candele orientali al sapore di mirto e datteri, Hexxat che rifiuta una notte di passione col più grande stregone di Thay mostrando i denti e ride delle lusinghe dei bardi con il suo passo felpato. “Cosa ci stai facendo qui? Non hai seguito scodinzolando il tuo adorato figlio di Bhaal a salvare dei poveri mocciosi indifesi che pare siano molto, molto più importanti della dignità dell’unico mago decente del gruppo? (bambini schiavi? Puah, una palla di fuoco ben assestata e li libererei in un attimo dalle loro sofferenze!)” “C’erano delle cose che dovevo assolutamente fare, delle domande a cui trovare delle risposte. E non posso caricare il mio fardello sulle spalle degli altri” sorride avvicinandosi ancora di più. Le sue dita d’ebano sfiorano i resti della tomba di Nevaziah, disegnando un delicato arabesco sul letto di polvere mentre armeggiano sulla sommità del sarcofago su cui io ho già lavorato a lungo. “Non sei l’unico che vuole liberarsi da una maledizione”. “Oh, davvero? (da quando in qua essere belle, immortali, potenti, indistruttibili, veloci e con un corpo sodissimo è una maledizione? Ma quel maledetto lich poteva darmi una pergamena maledetta del vampirismo invece di questo corpo?) Perché penso proprio che …” e il mio respiro si ferma. Quello che scivola sulla mia pelle è il suo dito, ma sembra leggero come un pennello imbevuto di tempera; rabbrividisco a quel tocco caldo e freddo allo stesso tempo, la spina dorsale attraversata da un piacevole tremito che questo corpo di donna non dovrebbe provare. Il suo fiato sul mio collo è umido, il pensiero dei pericolosi canini bianchi immediatamente trasformato in una scarica di piacere quando appoggia le labbra brune contro la mia spalla. “… che potremmo cercare le nostre risposte insieme” mormora lei ed unisce le nostre dita in una delicata spirale che ci avviluppa e ci trascina contro la lapide della tomba. Se solo avessi il MIO corpo sono certo che la situazione sarebbe molto, molto più … Un meraviglioso brivido corre dalle labbra fino alla punta dei piedi quando la regina della tenebre scioglie i fermagli del mantello rivelando il suo corpo perfetto all’ultima luce del bastone, che ne delinea per un istante le forme esotiche prima di far scivolare di nuovo la cripta nella notte più totale. “Mi auguro che tu non abbia paura del buio …”
Personaggio: Mazzy Fentan Genere: Introspettivo, Malinconico, Drammatico, Missing Moments Rating: giallo Avvertimenti: scritta in parte su un quadernino tra un autobus e l'altro... non garantisco sulla qualità XD
If I were a paladin
L’elfa alata è bellissima. La piccola Mazzy non riesce a staccarle gli occhi di dosso. In centinaia di passeggiate per i boschi intorno a Trademeet non ha mai incontrato una creatura così luminosa e delicata. L’ha scorta per un attimo in mezzo ai tendoni colorati del circo e si è avvicinata come attratta dal canto di una sirena, tutte le sensazioni della sua prima visita nella grande città dimenticate di colpo. Il vociare allegro del giorno di mercato, i colori degli abiti delle donne che passano da una bancarella all’altra con i cesti pieni di frutta e stoffe, gli strilli dei bambini che si rincorrono per la passeggiata di Waukeen, i mille odori di cibo, di cuoio, di spezie, di sudore… tutto viene relegato a rumore di sottofondo di fronte agli occhi azzurri e pieni di tristezza della splendida avariel. A Mazzy sembra di galleggiare al centro di una bolla d’acqua che la separa dal resto del mondo, includendo solo lei e l’elfa. E le sbarre della gabbia. Spesse, arrugginite, serrate attorno all’avariel in una morsa che le impedisce di dispiegare pienamente le sue meravigliose ali, più ampie di quelle di un’aquila o di un albatros. Invece è costretta a tenerle ripiegate attorno al corpo esile come un debole scudo frapposto tra lei e il mondo esterno, e persino una bambina come Mazzy si rende conto dei segni della decadenza dietro la loro bellezza maestosa. Le piume sono rade, arruffate, il colorito spento, un giallino malato ha spodestato il bianco candido che dovevano sfoggiare ai tempi in cui la creatura si librava senza catene nel cielo. Come una pianta strappata al bosco e costretta nei confini di un vaso angusto, l’avariel sta sfiorendo. “Ciao… “ Il suo timido saluto non ottiene risposta. L’elfa continua a fissare il vuoto, le ginocchia raccolte contro il petto e il viso in parte nascosto dai capelli biondi. Solo in quel momento Mazzy si rende conto di aver perso di vista suo padre. Si volta in tutte le direzioni passando in rassegna lo spazio affollato tra i tendoni e le bancarelle, ma non lo vede da nessuna parte. La sua attenzione però viene catturata da qualcos’altro. Accanto alla gabbia dell’avariel c’è un uomo seduto su uno sgabello di legno, le braccia incrociate sul petto e un cappellaccio calato sulla fronte. Il guardiano, a giudicare dal mazzo di chiavi che gli pende dalla cintura. L’uomo dorme della grossa. Mazzy decide all’istante. Getta una rapida occhiata intorno: l’area del circo è gremita di gente, ma nessuno fa caso a lei o sembra guardare nella sua direzione. Ora o mai più. Si avvicina cautamente al guardiano, gli sfila il mazzo di chiavi dalla cintura e si dirige subito verso la gabbia. Solo allora l’elfa reagisce: solleva la testa, e Mazzy si ritrova faccia a faccia con i suoi occhi sgranati, colmi di stupore e paura. Le sorride per rassicurarla, mostrandole le chiavi, ma lei scuote la testa disperata, le treccine bionde che si agitano selvaggiamente attorno al suo viso come un’aura luminosa. Fissa un punto dietro le sue spalle con l’espressione di chi ha appena visto i Nove Inferni spalancarsi. In quel momento una morsa ferrea si stringe attorno al polso di Mazzy. “Che cercavi di fare, ragazzina?!” La morsa si stringe ancora, le chiavi scivolano dalle sue dita intorpidite e rimbalzano tintinnando a terra. Il polso le fa malissimo, ma Mazzy si morde l’interno del palato e si impone di non lasciarsi scappare nemmeno un grido. Attraverso il velo di lacrime che le appanna gli occhi il ghigno del guardiano le appare distorto e feroce, e il suo cuore manca un battito quando vede il braccio libero di lui sollevarsi minaccioso sopra la sua testa. “Ora ti insegno io cosa succede ai bambini che rubano.” L’uomo è troppo più grande e più forte di lei, divincolarsi dalla sua stretta è impossibile. Mazzy serra gli occhi, pronta all’inevitabile schiaffo. “No! Lei non c’entra niente!” Il grido dell’elfa è flebile e strozzato, una voce che sicuramente non viene usata da molto tempo, eppure in qualche modo riesce a frenare la furia del guardiano. O almeno a scatenarla in un’altra direzione. “Che stai dicendo, stupida?” l’uomo strattona il polso di Mazzy, quasi sollevandola da terra, ma abbaia i suoi insulti contro l’elfa prigioniera. “Che ne può sapere una lurida bestia da esposizione?!” “Sono stata io!” esclama l’avariel, tremando. “Le ho chiesto io di farlo! Lei è solo una bambina, pensava che fosse un gioco!” I secondi successivi sono carichi di tensione e di un silenzio agghiacciante. Dopo attimi che sembrano eterni la mano dell’uomo finalmente si apre e libera il polso dolorante di Mazzy, lasciandola cadere a terra con malgrazia. “Allora suppongo che stasera, dopo l’orario di chiusura, sarai tu a essere punita.” La voce del guardiano è bassa, terribile, vibrante di una minaccia che promette ben peggio di qualche semplice schiaffo. Sotto il suo sguardo crudele e privo di compassione l’elfa si fa ancora più piccola, si rannicchia tremante sul fondo della gabbia nascondendosi dietro il precario scudo delle sue ali rovinate. Se solo avessi una spada… Se avesse un’arma qualunque, se fosse più grande, più alta e più forte, potrebbe sfidare quel viscido schifoso a duello, trafiggerlo come un pollo allo spiedo e fare in mille pezzi le sbarre, e poi sollevare la lama al cielo per salutare con un grido esultante il primo volo della meravigliosa creatura. Invece è solo una bambina, e non può fare altro che guardare la gabbia con gli occhi pieni di lacrime mentre alle orecchie le arriva confusa la voce di suo padre, che in qualche modo l’ha ritrovata e tutto affannato si profonde in mille scuse con il guardiano per il disturbo arrecato. Può solo lasciarsi trascinare via, e prendersi in silenzio i suoi due schiaffi per essersi allontanata senza permesso. In fondo se li merita, perché per colpa sua alla povera elfa capiterà molto peggio. Quella notte, nel buio della sua stanzetta alla locanda dei Sette Veli, la piccola Mazzy giura solennemente a se stessa che da grande diventerà un paladino, per avere una spada da brandire contro i guardiani malvagi e salvare tutti gli innocenti prigionieri del mondo.
Personaggio: Haer'Dalis Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon. Rating: giallo Avvertimenti: non ho trovato la traduzione completa di tutte le carte del Mazzo delle Meraviglie. Su alcune di esse ho improvvisato, spero perdonerete questa mia svista. Forse Haer'Dalis mi è venuto meno fatalista del normale, ma più di così non riusciva ad uscire.
Gambler of Fate
“Niente male, tiefling” Il volto del cambion è nascosto dietro il pesante elmo nero, ma so che sta ridendo. “Davvero niente male. Ed ora è il mio turno” Il mondo inizia a vorticare. Se non avessi alleggerito Nalia del suo anello di protezione dal fuoco adesso non sarei troppo diverso dai teschi anneriti dal tempo che cospargono il pavimento di questa stanza. Devo rimanere lucido. Devo uscire di qui. Minsc mi ha visto sgattaiolare nel tunnel, e per quanto credesse fermamente che io dovessi cercare una latrina, a quest’ora persino lui avrà capito che i miei bisogni stanno durando più del normale. Il cambion Aesgareth mescola il Mazzo delle Meraviglie. Lentamente. Le carte antiche come il mondo frusciano in quel movimento, nel silenzio generale sembrano quasi parlare, cantare, chiedono che qualcuno canti la loro stupenda meraviglia di morte; un tesoro mille volte più prezioso di Carsomyr il Santo Vendicatore. Il demone mi fa cenno di tagliare il mazzo, e io obbedisco. Poi estrae una carta. “Oh, la Luna … la fortuna è dalla mia parte stasera …” Bastardo. Un pulviscolo argentato nasce dalla carta e lo avvolge, liberando un incantesimo di guarigione. Non si può barare con il Mazzo delle Meraviglie, ma non posso negare che oggi Tymora abbia eletto Aesgareth come suo unico, focoso amante. Eppure sono sempre stato piuttosto orgoglioso delle mie notti di passione con la dea, tra birra, carte e bellissime donne che sorridono a me, a lei e poi di nuovo a me, la Signora del Fato ed il suo cantore. Forse ho fatto troppo affidamento su di lei, e ho dimenticato una cosa importante. Tymora non dorme troppo a lungo con lo stesso uomo. “Coraggio, tiefling” sussurra il cambion. Si muove come un animale intorno alla preda intrappolata, so che sta annusando la mia paura e questo lo riempie di un piacere primordiale. Sa già che la vittoria è sua. Posso salvarmi in questo turno, forse per i prossimi due, ma non posso andare avanti ancora per molto, la ferita della Lama Fantasma che ho evocato tre turni fa continua a perdere sangue ed eccita il corpo millenario nascosto sotto la corazza. I suoi servitori si avvicinano, gustandosi tutta la scena, avvoltoi in attesa che il predatore si serva per primo per poi giocare con i suoi scarti; forse stanno scommettendo quanto tempo mi resterà da vivere. “Fai la tua mossa”. La vita è un pugno di cenere al vento. Vorrei … vorrei avere il coraggio di ripeterlo. Vorrei dirlo serenamente, come ieri l’ho spiegato al figlio di Bhaal. Ma adesso … è diverso. Tutto diverso. Incredibilmente diverso. E sbagliato. Non voglio morire in un piano remoto della Fortezza dell’Osservatore. Neanche se questo è il mio destino, nemmeno se fosse l’univa via verso l’Oblio. Qualunque cosa. Davvero qualunque cosa per non girare quella … “Mi piaci, ibrido”. Aesgareth ride con la sua voce gutturale, e per un attimo ritrae il mazzo di carte, allontanandolo dalla mia mano proprio quando i polpastrelli ne stanno per sfiorare la superficie; il corpo del demone emana del gelo di un antichissimo passato, anche quando intorno a noi ci sono soltanto zampilli di lava. “Hai coraggio, una qualità rara in voi sangue misto. E, visto che mi sento incredibilmente generoso, voglio farti un’offerta …” Tymora, allora … “Avrei proprio bisogno di un servitore come te, uno che non abbia paura di fronteggiare il destino, la morte o una partita al Mazzo delle Meraviglie. Puoi sottometterti a me, e nessun planare ha mai detto che agli schiavi di Aesgareth manchino potere, femmine e sangue. China il ginocchio, pronuncia le parole che sai e dimenticherò che questo gioco sia mai iniziato”. Ci può essere qualunque cosa dietro quella carta. Le Erinni, o forse il Vuoto. O il Ladro, e a quel punto qualunque pensiero razionale volerebbe via dal corpo; potrei pescare l’Artiglio ed accettare che le tenebre si posino per sempre sui miei occhi. Oppure la Morte, il cui dito calerebbe su di me senza alcuna pietà. Il destino è cinico, ma ci sono cose che nemmeno lui può fare. Non se io non voglio. Il copione è ancora bianco. “Ti piace il mio coraggio, Aesgareth?” Non ho alcuna intenzione di perdere le mie ali. Mekrath ha provato ha tagliarmele una volta, e non permetterò ad un cambion di sbranare l’unica cosa davanti alla quale anche la vita perde qualunque significato. Ho portato il collare una volta. E ho imparato la lezione. Se devo volare verso la morte, lo farò da solo, come un vero attore. “Lo sai cosa si dice a Sigil? Chi non brucia le proprie ali al sole non ha alcun diritto di volare in cielo”. Qualunque cosa accada. L’immagine sulla carta sbiadisce alla mia vista, illuminandosi e trasformando il mondo in una potente folata di vento che alza in aria tutte le carte in un turbine che sfugge alla presa del demone; l’urlo del cambion attraversa lo spazio veloce come una frusta e l’incantesimo arcano che lancia al mio inseguimento mi lambisce le gambe prima di essere spazzato via dal potere divino del Mazzo delle Meraviglie. Il marmo nero è l'ultima cosa che vedo nel vortice finché non impatto contro la sua superficie, lo stomaco al posto del cervello e la sensazione di poter rimettere tutta la birra delle ultime tre settimane. “Ehi, ma che ti è successo? Boo temeva che fossi stato colpito dalla stessa dissenteria che ha colpito la nonna di Jan ed i suoi tredici pronipoti. Boo lo dice sempre che una dieta a base di semi di girasole e lattuga è la migliore per un guerriero; e adesso che sei uscito posso finalmente …” “Minsc, la latrina decisamente NON è da quella parte!” mormoro, osservando il corridoio che porta all’inferno. L’altro mi guarda, ma non è il momento delle spiegazioni. Io e Tymora abbiamo una lunga chiacchierata da fare, e non sarò avido di preliminari. La figura della Torre smette di risplendere, anche se quando ripongo la carta sotto i vestiti emana ancora un certo tepore.
Personaggio: Minsc e Boo Genere: Introspettivo, Malinconico Rating: verde Avvertimenti: mi rendo conto che tutto ciò non ha una gran coerenza interna, ma su Minsc ero veramente in crisi. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Dynaheir, dalle sue battute in BG1 ho avuto l'impressione che tratti Minsc con molta superiorità, per cui ecco cosa è venuto fuori...
Memories of his witches
L’avevo sempre considerato uno stupido. Io, figlia orgogliosa di una delle stirpi più nobili di Rashemen, Whychlaran di grande potere, non avevo paura di percorrere da sola le impervie vie del mondo. Se ho accettato un compagno di viaggio, un “guardiano”, come lo definiscono le Anziane, è solo per rispetto della consuetudine del dajemma e delle tradizioni del mio popolo. Ma non ho mai dubitato di riuscire a superare la mia prova di iniziazione senza l’aiuto di nessuno. Fino ad ora. In fondo cos’era stato Minsc per tutta la durata del nostro viaggio? Utile per caricarsi in spalla gli zaini e le armi più pesanti, certo, ma un buon mulo sarebbe servito perfettamente allo scopo. Con l’indiscutibile vantaggio che un mulo non parla a sproposito, non ti fa fare figuracce in ogni villaggio che attraversi, non produce il frastuono di cento eserciti quando sarebbe auspicabile il silenzio. Un mulo probabilmente mangerebbe di meno, e di sicuro sarebbe molto, molto più intelligente. Soprattutto, non trascorrerebbe intere serate attorno al fuoco a parlare al suo criceto di argomenti senza capo né coda. In breve, l’ho sempre ritenuto un peso morto. Il peso morto, però, stavolta è tornato per me. Non solo, ha anche reclutato un gruppo di avventurieri al solo scopo di venirmi a salvare. Ha percorso miglia e miglia nei territori più inaccessibili della Costa della Spada per salvare la maga superba che non lo riteneva neanche capace di ritrovare da solo la via per la Fortezza degli Gnoll. La maga che si credeva perduta una volta che le sue pergamene sono state stracciate, il suo grimorio dato alle fiamme e il suo corpo fiaccato dalle privazioni di una lunga prigionia. “Dove arriva Minsc, il male si ritira! Resisti, mia strega!” Ora il respiro mi si ferma nel petto mentre lo vedo avanzare verso di me con la spada sguainata, falciando uno gnoll dopo l’altro come un turbine inarrestabile di potenza e precisione. È come se una benda mi cadesse dagli occhi, e per la prima volta vedo Minsc per quello che realmente è. La sua mancanza di grazia diventa forza dirompente, la sua ottusità coraggio e generosità senza limiti, la sua cocciutaggine pura e disinteressata lealtà. Accanto a lui, Boo è una palla di pelo impazzita che schizza da un nemico all’altro graffiando senza sosta occhi e visi. Quando finalmente l’ultimo gnoll cade al suolo e le braccia forti di Minsc mi tirano fuori dal pozzo lurido che per giorni è stato la ma prigione non posso fare a meno di abbracciarlo. Boo mi salta sulla spalla e sfrega la sua morbida pelliccia contro la mia guancia. Giurerei che abbia capito quando detesto mostrare le mie lacrime. “Chi osa fare del male alla mia strega si ritroverà stampata sul sedere l’impronta degli stivali di Minsc!” Riso e pianto di mescolano sulle mie labbra. Di slancio lo abbraccio di nuovo, e decido che d’ora in poi nessuno potrà separare il prode Minsc, il valoroso Boo e la loro strega.
Ultimamente mi capita spesso di ripensare ai miei compagni di viaggio di un tempo. Sono passati anni da quando ero una ragazzina spaventata dalla sua ombra, timorosa persino di mettere piede oltre il recinto sicuro e protettivo del circo. Da allora sono diventata una grande maga, somma sacerdotessa di una comunità, flagello di schiavisti e malfattori. Ho ripreso in mano la mia vita e affrontato le mie paure. Ho imparato a camminare sulle mie gambe senza dipendere più da nessuno. Eppure ripenso spesso con nostalgia all’epoca in cui facevo parte di un gruppo di compagni, uniti contro il male e le minacce del mondo. Uno di loro in particolare riaffiora con affetto tra i miei ricordi. Il mio cuore è sempre appartenuto al Figlio di Bhaal, anche se lui alla fine ha scelto di donare il suo a un’altra donna; ma nessuno sapeva far sbocciare il mio sorriso come il ranger dal cuore d’oro, il guerriero generoso, l’insostituibile Minsc. Se sono diventata quello che sono oggi lo devo anche a lui, ai suoi incoraggiamenti, alla fiducia che mi ha sempre dimostrato anche quando ero io la prima non credere più in me stessa. Mi chiedo spesso dove sia ora. La ragione mi sussurra che gli umani non sono elfi, che la vecchiaia e la morte li catturano molto prima di noi, ma è un’idea che mi rifiuto categoricamente di considerare. Minsc non è mai stato come gli altri, per lui non possono valere le stesse leggi dei comuni mortali. Per questo ogni volta che alzo lo sguardo verso il cielo stellato mi convinco che lui e Boo devono essere lassù da qualche parte, in un luogo dove i criceti sono giganti e gli uomini diventano leggenda.
Nota: l'ultima frase è ripresa pari pari dal finale di Minsc in ToB. Chi non ha mai versato neanche una lacrima leggendola per me non può definirsi un vero fan di Baldur's Gate.
Personaggio: Dynaheir Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon. Rating: giallo Avvertimenti: probabilmente la peggiore tra quelle che ho scritto. L'avevo iniziata, poi ho avuto idee per un'altra storia e questa ho deciso di concluderla perché proprio non riuscivo a darle forma, sorry.
Dejemma
Forse dovrei seguire l’esempio di Minsc. Ma non ci riesco. Chiudere gli occhi e lasciare nel sonno l’attesa di domani … Sono in tanti a pensarla come me. La famiglia di gnomi che è giunta in ritardo alla presentazione è ancora sveglia, il fuoco del loro campo che sembra una luce fioca davanti ai loro incantesimi. Illusioni, nulla di più, ma quelle piccole creature sono tenaci quanto sbadate, e a giudicare dalla vampa di fiamme emanata dal palmo del vecchio capofamiglia dalla barba bianca non posso considerarli fuori dalla competizione. Ma l’Anello della Stregoneria sarà mio. Posso farcela, devo farcela. Trentasette maghi, un solo vincitore. E non sarà quell’elfa impettita che si dà arie da grande maga solo per le sue orecchie a punta. E nemmeno quel bel thayano dalla barba impeccabile, né l’elfo tutto blu con il suo caratterino irritante. Il mio dejemma non mi ha condotta in questo accampamento lontano da casa per essere la numero due. Le mura di cinta che circondano questa locanda costruita nel bel mezzo del nulla sono l’ideale per un ultimo allenamento: l’evocazione non è ancora il mio punto forte. Cerco le parole esatte, muovendomi tra le centinaia di incantesimi che potrei utilizzare per la gara, ed una coppia di ettercap produce il loro tipico verso gorgogliante quando appaiono davanti a me, scrutandosi intorno come se già aspettassero un nemico. Sono esseri disgustosi, su questo quell’idiota Minsc non ha tutti i torti, ma … hanno la loro utilità. È difficile farsi obbedire, il contatto mentale con le creature attraversa la spina dorsale come la mano di un gigante, ma proprio per questo devo farcela. Andate. Provano ad aggrapparsi alle crepe nelle mura, poi a muoversi sull’edera; li faccio salire e scendere, correre e saltare, e quando lancio loro un ramoscello si avventano con le loro esili braccia distruggendolo in colate di bava acida ed icore fingendo che sia una vera preda. Domani basterà scatenarli sugli gnomi per scaraventarli del caos e superare il turno … con un po’ di fortuna potrebbero anche rovinare il vestitino dell’elfetta e distrarla il tempo sufficiente di cancellare il suo nasino all’insù con un paio di Dardi Incantati. Sì, può andare. Gli ettercap si liberano dal controllo. Il pensiero della gara mi ha distratta, e come una falce cala sul sottile filo che lega le creature evocate a me; sento il contatto dissiparsi nel buio ed il cuore mi risale in gola, ma stranamente non si rivolgono contro di me. Scendono dal muro di cinta con una velocità innaturale per le loro corte zampe, diretti contro qualcosa in un punto dove gli alberi diventano più fitti. Uno di loro manda un sibilo che sveglierebbe tutta la Locanda del Braccio Amico e si avventa sulla preda, ma un raggio di fuoco illumina la notte scagliando i resti carbonizzati della bestia a pochi passi da me. Il secondo ettercap indietreggia, ma i suoi occhi verdi sono puntati sulla figura che emerge dagli alberi, la mano destra ancora avvolta nelle fiamme. “Sembra che qualcun altro qui dentro soffra d’insonnia! (possibile che mai, MAI una volta tutto fili liscio?)” Riconosco subito la figura, anche quando la fiamma tra le sue dita si abbassa: il mantello scarlatto del thayano sarebbe visibile anche nella più fonda delle notti di Rashemen, così come il suo cipiglio. Uno dei più abili maghi tra noi, e sicuramente il più misterioso; uno di quelli che mi auguro non incontrare mai dall’altra parte della mia strada. “Sei idiota o cosa, stupida scimmia? Ancora mi chiedo perché certi incantatori da circo non capiscano che l’evocazione è la regina di tutti i rami della magia ed è alla portata solo dei migliori!” borbotta, lanciando un’occhiata prima a me e poi all’ettercap. La creatura percepisce l’ostilità e manda un gridolino d’attacco, ma questo non intimorisce affatto il nuovo arrivato. “Adesso, con permesso …” Dovrei scusarmi, ma una piccola luce attrae la mia attenzione. Lo scintillio al dito dell’uomo raccoglie per un istante la luce delle stelle. E non occorre un incantesimo di identificazione per capire che l’anello incastonato di pietre rosse non è finito in quella mano per puro caso. Il thayano si deve essere accorto del mio sguardo perché immediatamente la mano sinistra scompare sulla tunica, ma se pensa di ingannarmi in questo modo … “L’Anello della Stregoneria …” Le scintille nella sua mano ricompaiono immediatamente. Quanto detesto avere sempre ragione. “Lo hai rubato! Come hai fatto a …?” “Puah, direi che hai visto abbastanza! (come se avessi tempo da perdere in una gara contro dei dilettanti)” Il mio riflesso di tanti giorni trascorsi nella foresta mi salva la vita. La sua Vampa di Agannazar saetta come la zampa di una bestia verso di me, e solo dopo aver fatto un passo indietro vedo l’albero che si trovava alle mie spalle completamente in fiamme. L’ettercap si lancia sull’avversario e si avventa contro il braccio, ma un’esplosione di acido ne fa schizzare gli organi in tutte le direzioni. E poi tocca a me. “Schiva questi, thayano!” La luce dei Dardi Incantati vola nella sua direzione, e prima che possa evitarli ne ho pronti altri tre, giusto nel punto dove pensa di potersi dare alla fuga; schizzano contro il mantello rosso, ma invece di bucherellargli a dovere la tunica esplodono in mille piccoli fuochi d’artificio intorno alla sua figura. Una sottile barriera azzurra riveste tutto il suo corpo, e mentre l’incantesimo Scudo è ancora alzato l’aria si raffredda. “Prevedibile, terribilmente prevedibile”. Il potere dell’Anello è attivo, poi la sera si trasforma in un riflesso di cristalli di ghiaccio. Cadono dal cielo come grandine, devo saltare, devo correre o finirò come il corpo straziato del mostro evocato, che adesso giace trafitto da un blocco gelido. La punta di un cristallo mira al mio petto, la schivo di nuovo ma quando provo a creare anche la più piccola barriera divento un bersaglio troppo semplice. Lui evoca di nuovo, lo Scudo ancora alzato tenuto il piedi dall’artefatto che ha sottratto, e la potenza dei tre incantesimi uniti basta da sola a farmi mancare il fiato, spingendo un brivido doloroso lungo tutta la colonna vertebrale e poi su, di nuovo nella gola. L’ultimo Dardo Incantato mi scivola dalle mani e dalla mente come una colomba. “Tsk, che perdita di tempo! (Ho fatto proprio bene a …)” Il suo mugugnare si trasforma prima in un urlo, poi in una serie di improperi. “Mettimi giù! Ho detto METTIMI GIU!” “Che dici, Boo? Devo levargli quell’anello? Provvedo subito!” “Mollami, stupido gorilla. MOLLAMI SUBITO!” La prima immagine di quando apro gli occhi è lo stregone rosso che scalcia come un forsennato sulle spalle di Minsc, che lo trasporta come se fosse il sacco delle provviste. Il vecchio, sudato, ostinato, ottuso Minsc: non sono mai stata così felice di trovarmelo al fianco. Persino lo squittio del suo stupido roditore mi fa battere il cuore. “Dove arriva Minsc, il male si ritira. E tu preparati a ricevere il trattamento speciale dei miei stivali! Nessuno può fare del male alla nostra Strega!” Prima che possa dirgli qualcosa o chiedergli di prenderlo prigioniero, Minsc solleva lo stregone urlante con una mano, e persino da questa distanza, nel buio della sera, riesco a vedere l’impronta di fango, sterco e lividi che campeggia sul borioso didietro del mio avversario mentre viene costretto ad allontanarsi. Solo quando l’ultimo “UN GIORNO ….!” sparisce oltre le mura della locanda il mio cuore riprende a battere normalmente. “Immagino che in quanto a magia io abbia ancora molto da imparare” mormoro, ma evidentemente non così a bassa voce come penso. Minsc mi viene vicino, sgrullandosi soddisfatto la polvere ed il fango dalle mani; poi la sua pacca cala sulla mia spalla, e domani ci sarà più di un livido in quel punto. “Certo che bisogna imparare! Lo dice sempre anche Boo, non dobbiamo mai fermarci e cercare sempre di migliorare!” Poi fa qualcosa di strano. Almeno per lui. La sua enorme mano callosa si apre verso di me come a invitarmi a prenderla. “Ma ricorda, hai sempre il supercervello di Boo dalla tua parte! Ed anche gli stivali di Minsc! Quindi non ti abbattere, perché di certo un giorno sarai la numero uno!” E prima che io possa accettare è lui ad afferrarmi il polso. “Perché questo è il nostro dejemma”.
E con questa estraggo dal cappello a cilindro anche la combinazione dei Vampiri e dei Ladri. Ormai sono agli sgoccioli con i personaggi, l'ispirazione dovrà darsi molto, molto più da fare. Ringrazio molto @Metalloman e @lolien per il supporto nella ricerca di dati per scrivere questa storia.
Personaggio: Hexxat Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico. Canon. Rating: giallo Avvertimenti:spoiler pesanti sulla trama di questo personaggio, specie sui risvolti nella trama di ToB e della sua ending. Se non volete spoiler vi consiglio di girare al largo!
[spoiler] Somewhere I belong
I want to heal, I want to feel, what I thought was never real. I want to let go of the pain I felt so long (Erase all the pain 'til it's gone) I want to heal,I want to feel, like I'm close to something real. I want to find something I've wanted all along, somewhere I belong.
(“Somewhere I belong”, Linkin Park)
Non respirano più. L’ultima crolla ai miei piedi e rimane sulle scale, facendo calare di nuovo il silenzio nel tempio; persino gli uccelli della giungla tacciono, aspettando l’alba. Il sangue delle sacerdotesse è amaro come il loro cuore. Potrei nutrirmene, ma non ho fame: preferisco osservarlo mentre scivola lentamente nelle crepe del pavimento fino a disegnare una forma strana, forse una corona rossa sul marmo candido ai piedi dell’altare. Non c’è traccia dell’eccitazione del passato, soltanto un brivido freddo che non scompare nemmeno accanto al braciere colmo di incenso; stasera la fame di Ubtao sarà placata dal sangue delle sue stesse adoratrici. Sono morte. E le ho uccise io. Tutti i loro incantesimi, tutti i loro paletti di frassino non sono serviti a nulla. Lo sguardo bianco della Prima Viaggiatrice adesso mi fissa dal pavimento, e la luce della vita che si è spenta non cancella l’odio, il disprezzo ed il disgusto per il mio volto che vi si riflette appena. O forse si tratta di paura. Paura per quello che sono. Paura per quello che una di loro è potuta diventare. Al piano inferiore una porta si apre, lasciando il passo a degli stivali che non vogliono nascondere a nessuno la loro presenza. Sapevo che saresti arrivato … Immagino che dovrei essere pronta, ma “pronta” è una parola che ha assunto talmente tante sfaccettature in questi ultimi decenni che lascia sciogliere ogni pensiero nella sottile nube di incenso. Un soffio di vento muove la fiamma, e per un istante il monile che adorna il collo di una delle sacerdotesse risplende di arancione e oro, chiamandomi come il più luminoso dei tesori della tana di un drago. Il labirinto inciso sul metallo non è stato toccato dal sangue, e per un istante lo vedo al collo di un’altra donna, una bellissima donna dai lunghi capelli neri ed il sorriso come uno stormo di colombe. Una donna che ho tanto sognato nel corso di questi lunghissimi anni. La superficie del pendente riflette il mio viso, così simile al suo ma imbrattato dal sangue e dalla polvere, antico come soltanto l’espressione vuota di un essere immortale. Vuoto come quella di L. “Speravo non si trattasse di te, Hexxat” È comparso dell’argento nei suoi capelli biondi, e la barba è molto più folta di allora. Ma non è cambiato nulla nella sua postura eretta, nell’armatura splendente o nella maestosità dell’enorme spada ingioiellata che gli risplende da oltre la linea delle spalle. “Immagino mi stessi aspettando …” “E sai anche perché, Figlio di Bhaal”. “Era necessario giungere a questo? Sarebbe bastato …” “Ma tu non saresti venuto. Non negarlo”. Osserva i corpi distesi a terra, uno per uno. Lo sguardo scivola sul disegno di sangue, poi su di me, carico di tutti quei pensieri che lo hanno sempre reso così diverso, così distante da tutti coloro che ho conosciuto. Mi fissa come il giorno che ci siamo incontrati, quando tra noi due vi era soltanto la figura esangue di Clara. Come se il tempo non fosse mai esistito. Non odio, non paura. Nulla delle migliaia di sguardi che io abbia mai ricevuto, ma con riflesso che non mi è dato di comprendere, la stessa luce semidivina che mi ha trascinata davanti alla battaglia per il Trono di Bhaal. “No, non lo nego. Ma speravo che fossi cambiata, Hexxat. Che non avessi bisogno di simili stragi per condurmi a te”. “Sei troppo abituato ad essere il fulcro intorno a cui gira il mondo, Figlio di Bhaal. Queste donne meritavano la morte, e risparmiami tutte le prediche al riguardo. Non mi chiamo Anomen”. Sapevo che sarebbe successo. Sapevo che avrei ottenuto il suo biasimo, la sua tristezza. Ma lui non può capire, né lo potrà mai fare. A Candlekeep nessuno ha mai arretrato il passo alla sua presenza, gridandogli di essere un mostro; il mondo lo ha accolto insieme alla donna che ama, aprendogli tutte le porte. Sono certa che quella biblioteca di cui parlava spesso si è spalancata per rendergli omaggio, magari illuminando i corridoi polverosi che erano rimasti chiusi in attesa del suo viso, delle sue risate gentili. La sua luce non può capire il gelo, il nero nel cuore di queste donne. La sua luce ha un posto dove tornare. “Mi hai fatto una promessa, Figlio di Bhaal. Una promessa su Carsomyr, il Santo Vendicatore. E ti chiedo di mantenerla, perché sai cosa succederà se mi lascerai uscire da questa stanza. Queste donne non sono le prime, ma non saranno nemmeno le ultime”. Li ho visti, e lui lo sa. Non è venuto in questa penisola sperduta impreparato, nel fondo del suo cuore sapeva. I paletti di legno sono lì, incisi nelle rune sacre dell’Ordine, stretti alla sua cintura in attesa di porre fine alla vita di un immortale. Non riesco a provare paura. O odio. Soltanto la stanchezza della polvere millenaria e l’ultimo incontro con il corpo decaduto di L. Quel giorno scelsi di vivere, di inseguire un sogno insieme a quest’uomo ed ai nostri compagni, alla ricerca di un mondo migliore dove tutti potessimo vivere insieme a coloro che amiamo. Oggi … Estrae i paletti, guardandoli con tristezza. “Non sei il tipo che lascia molta scelta agli altri …” Quel mondo non esiste. O forse non è mai esistito. O è esistito nelle speranze di Clara e nella tenacia di Phreya e adesso è sepolto in una tomba senza nome. L’incenso non riesce a coprire il suo profumo. I muscoli del suo collo ampio fremono davanti a me mentre regolano il respiro, si fanno forza senza ritrarsi davanti al predatore che potrebbe saltare in qualsiasi momento e trasformare questo istante in un nuovo affresco di morte. La punta dei suoi strumenti è affilata, le rune vive. Il giorno tarda a venire. Si alza di nuovo la brezza che annuncia il mattino, carica del profumo dei grandi fiori bianchi che mia madre usava per creare candele. E chiudo gli occhi, respirando quegli odori del passato. “Il tempo è finito”. Poi il mondo diventa caldo, un caldo vivo. Una fiamma forte, intensa come quella della vita mi attraversa le spalle, proprio dove le sue mani premono con forza, stringendomi senza fornire alcuna spiegazione. Nelle dita non c’è nulla, e per un attimo il fuoco del braciere guizza in alto, come se nuova legna lo stesse alimentando; poi cade, rovina a terra, e c’è solo una nube di scintille intorno a lui, tra me e la vita, tra lui e la morte. Mi stringe a sé come un’amante, abbracciandomi senza lasciare che nemmeno uno spiraglio d’aria passi tra il mio corpo ed il suo. “Non ancora, Hexxat. Non ancora”. Ogni mio tentativo di muovermi svanisce nelle sue braccia, lasciandomi sola con il suo cuore e la consapevolezza che è il primo essere umano ad essere così vicino, così unito a me che non sia una preda. “Avevi giurato su …” “Su un pezzo di metallo. Su nulla che possa mai valere quanto la vita di un’amica” sorride. E per un istante, un solo istante, il mio cuore riprende a battere seguendo il suo. “Sono certo che troverai un posto in cui tornare. E se quel posto ancora non esiste lo costruiremo insieme, come abbiamo sempre fatto”. Ignorando quello che gli altri pensano di noi. Ignorando i loro sguardi. Ignorando le nostre paure. Non sono certa di potervi credere, ma questo cuore che batte è mio, e batte, batte. Batte anche quando veniamo avvolti dalla primissima luce dell’alba.
N.d.W. questa storia l'ho scritta quasi di getto dopo essermi spoilerata il finale di Hexxat in ToB, finale che mi ha lasciata un tantino perplessa. Innanzitutto Hexxat tiene così tanto a tornale mortale che è disposta persino a morire (a morire, non scherziamo!) pur di diventare umana e morire come tale, si spinge nelle tombe più nascoste solo per questo e poi ... due parole con il protagonista e c'è la possibilità di convincerla a rimanere vampira e continuare, come se questa sua volontà di tornare umana si abbattesse al primo mutamento. E poi il finale non della romance che ho trovato un tantino a pera ... ma perché va ad uccidere le sacerdotesse di Ubtao? Oltre al fatto che la madre fosse una di loro, ma non c'era motivo per cui lei diventasse così sanguinaria, né vendette, né nulla ... da qui il tentativo di aggiustare questi buchi, anche se non credo di esserci riuscita.
@whitemushroom, @Lisaralin Ho scoperto questo thread solo ora, e il piacere della sua lettura mi ha semplicemente rapito. Complimenti per la creatività, la passione e il talento. Degno dei bardi ispirati da Oghma (o dalla sua Sola Vera Mano Milil se preferite).
avvolta dalla soffusa luce dorata che filtra tra le fronde.
Uno dei migliori racconti che abbia letto fino a ora. Sappi però che il mancato utilizzo del "fra" ha provocato profondo disappunto nel Baeloth che è in me. U_U
Ps: vediamo se avrai compensato nel racconto dedicato a lui. ;-)
Sappi però che il mancato utilizzo del "fra" ha provocato profondo disappunto nel Baeloth che è in me. U_U
Ps: vediamo se avrai compensato nel racconto dedicato a lui. ;-)
... lì ce ne ho messe pure troppe di allitterazioni :P E pure in un altro racconto, poi vedrai :P
Eh sì, chapeau per questa:
Io, Baeloth l’Intrattenitore, lo stregone più strabiliante, stupefacente e sensazionale del Sottosuolo, sottomesso a una sordida, svilente schiavitù!
Molto bella anche quella con Kalhid (Un adepto delle armi audace e ardimentoso come te che balbetta come un babbuino bastonato!).
Sai com'è, prendo molto a cuore l'argomento, avendo tradotto Baeloth ed essendo spesso uscito matto per trovare delle traduzioni altrettanto allitteranti e altisonanti. ;-)
@Metalloman io la storia di Hexxat me la sono spoilerata perché con i troppi bug che ha come personaggio era una pena portarla avanti. Per quanto io lo abbia trovato un po' strano come finale, non è che mi abbia entusiasmato più di tanto ...
@bengoshi I'm glad you like it, I was truly inspired ... When I heard about Hexxat's ending I though "That's fantastic for a one-shot story!"
Personaggio: Neera Genere: Introspettivo, Missing Moments Rating: giallo Avvertimenti: ambientata tra BG1 e BG2 e basata su un evento raccontato nei dialoghi della romance di Neera.
Liquid fire flowing through my veins
Le ondate selvagge possono avere gli effetti più disparati e imprevedibili, e questo lo sanno tutti. Ciò che la maggior parte della gente ignora (anche perché preferisce prenderci a sassate piuttosto che farci domande) è che anche le sensazioni fisiche che le accompagnano sono diverse. Io mi sono sempre divertita a dividerle in categorie, per capire, per cercare di prevedere. Ci sono quelle “semplici”, che di solito corrispondono agli incantesimi innocui, e che si manifestano con un pizzicore nelle narici e sul fondo della gola, come uno starnuto. Altre ti fanno girare la testa e rimbombare le orecchie, i margini del campo visivo si offuscano e si riempiono di puntini gialli come durante uno svenimento. Altre ancora sono un abbraccio di ghiaccio e fuoco che ti fa battere i denti dal freddo mentre i capelli ti si appiccicano alla fronte per il sudore. E poi c’è il fuoco liquido. Non saprei come altro definirlo. Sono gli incantesimi più potenti e devastanti, quelle rare ma fatidiche volte in cui la tua magia squarcia la trama della realtà e spalanca un varco verso il Piano dell’Aria, i Nove Inferni o gli dei sanno dove altro, scatenando demoni e tempesta nel mondo. Allora è come se un sole incandescente esplodesse al posto del tuo cuore e pompasse fuoco liquido nelle vene, fino a divampare incontrollato dalla punta delle dita. Detto così può sembrare spaventoso, ma non è affatto una sensazione spiacevole. Tutt’altro. È ebbrezza, estasi allo stato puro. L’ho sempre paragonata al momento culminante dell’atto d’amore, quando il tuo corpo e il tuo respiro diventano un tutt’uno con l’altro, e i battiti del cuore accelerano travolti da un’onda inarrestabile di piacere. L’amore, già. Avrum è ancora addormentato. La sua pelle bruna forma un piacevole contrasto con le lenzuola bianche aggrovigliate attorno al suo corpo atletico, tanto che per un attimo ho la tentazione di arrampicarmi di nuovo sul letto e svegliarlo con un bacio. Invece rimango in piedi dove sono, già rivestita, lo zaino con le mie (poche) cose pronto e chiuso al mio fianco. La luce del primo mattino si insinua appena tra le imposte chiuse, accuratamente sprangate da Avrum per bandire fuori il mondo e custodire il nostro segreto. Stanotte è stato… bello. Dolce, anche. Ma non ho sentito il fuoco liquido scorrere nelle mie vene. Il mio cuore non si è trasformato in un globo di fiamme scintillanti. La maggior parte delle ragazze comuni mi prenderebbe per una pazza. Avrum è giovane, bello, è un “bravo ragazzo”, come direbbero le anziane della Grande Foresta; ha un ottimo impiego come scrivano e tutti i requisiti per crearsi una posizione in futuro. Cose che, a dirla tutta, una ragazza spiantata e senza un soldo come me non dovrebbe disdegnare. È anche simpatico, e persino galante. Ecco, su quello bisognerebbe lavorare un po’. La prossima volta che stende a terra il mantello per farmi passare sul fango o mi apre le porte davanti come se fossi un’impedita giuro che mi prende una crisi di nervi o, nel peggiore dei casi, un’ondata selvaggia. Ma non ci sarà una prossima volta. Non sono pronta a lavare i panni e cucinare per un uomo. Non sono pronta ad accoglierlo con un sorriso e un bacio quando torna a casa la sera, stanco dopo una giornata di lavoro. Non sono pronta a una serie di giorni tutti uguali, scanditi dal ritmo martellante e ordinato della città. Forse non lo sarò mai. Afferro lo zaino e richiudo con delicatezza la porta della stanza prima di uscire, per non svegliarlo. L’ultima immagine che ho di lui è il sorriso morbido che ancora aleggia sulle sue labbra perfette, leggermente socchiuse nell’abbraccio del sonno. Preferisco ricordarlo così. Fuori dalla locanda un soffio di vento fresco mi scompiglia i capelli, e mi fa scivolare via dalla pelle l’odore di chiuso della stanza, il profumo di Avrum e della nostra prima e ultima notte d’amore. La strada mi aspetta, la giornata è limpida, perfetta per viaggiare. Al tramonto avrò già messo parecchie miglia di distanza tra me e Baldur’s Gate. Improvvisamente, senza alcun motivo logico, mi torna in mente lui. L’elfo dai grandi occhi azzurri e il talento irrefrenabile per gli scherzi. Il Figlio di Bhaal. Le nostre strade si sono divise sempre qui, in questa stessa città, dopo una battaglia campale a cui ancora mi meraviglio di essere riuscita a sopravvivere. Un altro uomo, un’altra fuga. Pare che la mia lealtà in amore sia incostante almeno quanto i miei incantesimi. Mi sorprendo a chiedermi se lo incontrerò di nuovo, e nel pensare a lui qualcosa di indefinito si muove dentro di me. Non è un’ondata selvaggia e neppure il fuoco liquido, ma è un guizzo caldo, un tepore piacevole che mi fa camminare più rapida e leggera mentre mi abbandono con un sorriso sognante al vortice dei ricordi.
Personaggio: Minsc e Boo Genere: Introspettivo, Malinconico Rating: verde Avvertimenti: mi rendo conto che tutto ciò non ha una gran coerenza interna, ma su Minsc ero veramente in crisi. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Dynaheir, dalle sue battute in BG1 ho avuto l'impressione che tratti Minsc con molta superiorità, per cui ecco cosa è venuto fuori...
Carina l'idea di vederlo attraverso le sue "streghe". :-)
Ecco un'altra storia, la Combo Coppie può dirsi conclusa
Personaggio: Dynaheir Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon. Rating: giallo Avvertimenti: probabilmente la peggiore tra quelle che ho scritto. L'avevo iniziata, poi ho avuto idee per un'altra storia e questa ho deciso di concluderla perché proprio non riuscivo a darle forma, sorry.
Ah, ecco perché al Braccio Amico si trova quell'anello, nonostante nella lotta debba essere finito oltre le mura... ;-)
@Davide ... esatto, probabilmente quando Minsc ha preso a calci Edwin è andato perduto chissà dove ... un piccolo omaggio a quel bug che, ammettiamolo, tutti siamo andati a cercare non appena abbiamo messo piede in quella mappa ...
Personaggio: Tiax Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon. Rating: giallo Avvertimenti: li sentite i gatti che si arrampicano sugli specchi? Ecco, questo è più o meno il suono che sentirete leggendo questa fanfic, perché inventare qualcosa sul nostro gnomo di fiducia supera qualsiasi livello di sfida. Qualcuno per caso riconosce la citazione del titolo? E ricordate sempre che "The day will come when TIAX will point and click!"
Dancing Mad
29 Tarsakh 1369, ore 14
Il prigioniero numero 5 non si è dimostrato docile come la numero 4. Ho dovuto richiedere l’aiuto dei miei apprendisti e di Lonk per addormentarlo e chiuderlo in una cella; è maledettamente resistente per la sua taglia. Quando lo hanno mandato quaggiù credevo si trattasse dell’ennesimo gnomo illusionista da gettare agli Umber Hulk dei livelli inferiori, ma questo soggetto mi interessa. Tra i suoi deliri di dominare il mondo e ridurci a meri scendiletto ballerini per Cyric ha detto qualcosa di molto interessante: ha visto un figlio di Bhaal a Baldur’s Gate. Ho scritto a Tolgerias, ma quel maledetto raccomandato mi ha risposto che solo un folle darebbe ascolto alle fandonie di uno gnomo chiaramente squilibrato. Chissà, forse sto impazzendo. Non sarei il primo qui dentro. Mi chiedo quando finirà questo incarico.
1 Mirtul 1369, ore 2
Maledetto chierico! Non era nella sua cella! Quando avrò tempo darò una lezione con i fiocchi a quella mocciosa cambiafaccia che si è sostituita a lui, ma adesso dobbiamo recuperare numero 5 ed alla svelta! Se ai piani alti sapessero che mi sono fatto scappare un comunissimo gnomo mi spedirebbero a pulire le latrine dell’Ordine con la lingua!
1 Mirtul 1369, ore 15
Ci mancava soltanto un tentativo di rivolta in nome di Cyric. Quando numero 2 ha gridato che tra le spire dei mondi aveva visto un futuro in cui Cyric era grande e Tiax il suo profeta ho sentito il bisogno impellente di affondare quest’isola. Bisogno che è aumentato vertiginosamente quando numero 1 ha guidato la sua armata di licantropi immaginari contro le nostre forze. Il suo Grido della Banshee non era però così tanto immaginario …
2 Mirtul 1369, ore 19
Sempre sia lodato il nostro compianto ingegnere. Numero 5 si è messo in trappola da solo nella stanza degli indovinelli, ed anche quando lo abbiamo portato via con la forza ha continuato a gridare che nessuno poteva sfidare il grande Tiax in una gara di indovinelli e pretendere di aver ragione contro il suo intelletto divino. Da qualche parte Cyric deve comunque star ascoltando le sue blaterazioni, perché al terzo incantesimo di Sonno continua a tuonare nella cella e se continua così dovranno ricoverare me. Lonk sostiene che dovremmo semplicemente sbarazzarcene, che abbiamo abbastanza prigionieri per i nostri esperimenti e che possiamo fare a meno di un individuo tanto instabile da gettare per un giorno la reputazione degli Stregoni Incappucciati nel fango. Ma per fortuna non è lui a dare gli ordini qui dentro. Numero 5 si è dimostrato il soggetto che più di tutti è riuscito a sorprendermi ed a sorprenderci, superando qualsiasi etichetta e sigillo sulle documentazioni che lo riguardano; non so quanto ne sia stato consapevole –molto poco, da quello che sono riuscito a vedere- ma le sue parole hanno aperto una breccia che avrebbe potuto causare la rovina di questa fortezza. Siamo pochi, troppo pochi. E questo la sede centrale non riesce a capirlo. Meno di quella marmaglia di detenuti, che per quanto parlino da soli, viaggino dei mondi dentro una cella e cerchino delle gemme immaginarie hanno ancora una loro volontà. Flebile, senza dubbio, ma sono bastate poche parole per svegliarla; la speranza in Cyric, una terra promessa, un universo di luce, qualunque cosa abbia raccontato loro quello stupido gnomo ha dato vita ad una reazione che siamo riusciti a sventare solo per fortuna. Nei registri ufficiali parlerò dell’efficienza del nostro ordine, ma non sempre la realtà si trova lì dentro. Per questo ho bisogno di studiare ancora il numero 5. Devo conoscere oggi ciò che potrei essere costretto a distruggere domani. Cosa può trasformare una stupida scintilla in un incendio. E devo chiedere più uomini. Stasera riceveremo delle visite, un uomo ed una donna che da quello che mi è stato raccontato hanno causato più di un problema alla Passeggiata di Waukeen, giù ad Athkatla. Parlerò con chiunque li accompagni e cercherò di spiegare il problema. Basterebbe un’altra persona come numero 5 e questo posto potrebbe trasformarsi nella nostra tomba.
Wanev, centoquattresimo supervisore del penitenziario di Spellhold
Personaggio: Cernd Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico Rating: giallo Avvertimenti: basata in parte sul finale di Cernd post Throne of Bhaal.
Profezia
Gli artigli del licantropo catturano la luce del sole e calano una, due, tre volte. La preda balza di lato, quasi perde l’equilibrio e agita il braccio in un ultimo, disperato tentativo di difesa. Dalle sue dita erompe una massa scura che si allarga e si avviluppa attorno al corpo del licantropo come una rete formata da migliaia di piccoli nodi neri che si agitano forsennati, sferzano e mordono senza sosta. Insetti – l’informazione si registra in un angolo sul fondo della sua mente, prima di finire di nuovo sommersa dalla marea dell’istinto. La belva spalanca le fauci e ruggisce con tutta la sua forza per disperdere il ronzio che gli dilania le orecchie; ma le punture sono poco più che gocce d’acqua sulla sua pelle corazzata, e questo la preda lo sa. Può sentire l’odore pungente della sua paura, misto al profumo delle foglie schiacciate sulla terra umida e degli alberi spogli, e a quello delle nubi lontane, gonfie di tempesta. Al quarto assalto gli artigli non mancano il bersaglio. Lacerano abiti e pelle, affondano in profondità nei muscoli. L’urlo straziante della preda si conficca contro il cielo freddo, l’ambito segnale per l’inizio del banchetto. L’odore del sangue gli infiamma le narici, fa colare copiosa la saliva tra le zanne spalancate. Con le zampe anteriori inchioda la preda ormai inerme a terra, e avvicina il muso per reclamare il premio che gli spetta, il meritato pasto del conquistatore. “Il bosco ha emesso il suo verdetto, fratelli miei! Abbiamo un vincitore!” Il grido del maestro Verthan riverbera dentro di lui come un segnale e lo immobilizza sul posto, le zanne a pochi centimetri dal viso della vittima. Come il rintocco di una campana entra in risonanza con la magia primordiale che scorre nel suo corpo di bestia, e in pochi attimi il muso e le zanne si ritraggono, gli artigli tornano innocue dita umane, la forma massiccia e contorta si raddrizza e si riduce. Cernd barcolla e cade in ginocchio. Le mani cercano subito il contatto con la terra, le dita affondano tra le zolle smosse dell’arena mentre il respiro spezzato si calma sotto la fronte imperlata di sudore. I battiti del suo cuore si armonizzano gradualmente al lento pulsare della madre terra e la mente si schiarisce, riportandolo presente a se stesso. Pian piano mette a fuoco l’arena, poi il cerchio di frassini e querce secolari e i druidi assiepati tutto intorno, chiusi in un silenzio irreale. In un angolo, il Figlio di Bhaal e gli altri membri del gruppo gli sorridono, e la giovane avariel ha persino le lacrime agli occhi per il sollievo di vederlo vivo. Il silenzio è carico di attesa, di anticipazione. Sa che tutti non aspettano altro che un suo segnale. Una parola del vincitore, un ordine che decreti il destino del bosco e della comunità che lo abita. Lentamente, Cernd si alza in piedi. Solo allora i suoi occhi si posano sul corpo dell’avversaria, riverso accanto a lui, gli arti piegati in angoli innaturali. Il suo petto si alza e si abbassa con fatica, in una serie di rantoli. Una corolla rosso scuro sboccia dalla ferita che le attraversa l’addome e si allarga sotto di lei, la terra che già beve avidamente il liquido quasi nero. “Questa è la prova definitiva, Faldorn.” Cernd non riconosce neppure la propria voce, che gli sfugge dalle labbra rauca e spezzata come se non la usasse da un tempo infinito. “I tuoi precetti sono un fiume che si ostina a percorrere il suo letto dalla foce alla sorgente. Un’aberrazione. E come tale non possono esistere.” Faldorn tossisce e un fiotto di sangue le cola tra le labbra: “I folli… siete voi… il vostro buonismo… sarà la rovina del bosco…“ un’altra fitta le squassa il petto, più violenta di prima, ma la donna continua a parlare, aggrappata alla vita con ogni briciola di energia che le resta. “ … io lo so… lo vedo… “ I suoi occhi si spalancano di colpo. Le pupille annegano nelle iridi del colore della terra fertile e sembrano fissare un punto oltre lui e la foresta, perse in una distanza infinita forse già al di là del velo della morte. “La tua prole, Cernd… sarà la tua sciocca prole, per causa tua… una quercia dalle foglie rosse, nata dal sangue, da una guerra parricida… la magia corrotta intaccherà i boschi, i tuoi insegnamenti… falliranno, e la natura… soffrirà… “ Un ultimo sussulto e gli occhi di Faldorn diventano vitrei, immobili. Il respiro si ferma. All’unisono, i druidi nella radura piegano il ginocchio davanti al nuovo signore del bosco. Il dominio dei druidi d’Ombra è spezzato, la pace potrà sorgere di nuovo tra il popolo della foresta e gli abitanti di Trademeet. Gli attacchi di animali cesseranno, e il commercio riprenderà più fiorente di prima. La sua missione è riuscita. Dovrebbe gioirne, pensa mentre il Figlio di Bhaal e gli amici corrono ad abbracciarlo e a congratularsi con lui. Eppure le ultime parole di Faldorn continuano a tormentarlo. Ore di canti e festeggiamenti non bastano a cacciare il dubbio che si è annidato in lui come un parassita invisibile nel cuore di un albero. È per questo che quando i suoi compagni stanno per ripartire, due giorni più tardi, Cernd decide di mettersi in viaggio insieme a loro. “Pensavo che volessi restare con Ashdale” il Figlio di Bhaal è notevolmente sorpreso. “Sarò più utile alla vostra causa. Verthan qui è più che in grado di prendersi cura del bosco ora che la minaccia è passata. In quanto a mio figlio… lui starà meglio con i druidi.” Se c’è una cosa che ha sempre ammirato nel Figlio di Bhaal è la discrezione. L’elfo si limita a fare un cenno di assenso senza indagare con ulteriori domande, e poche ore dopo il bosco è alle loro spalle e le mura di Trademeet svettano in fondo alla strada nella luce del tramonto. È la scelta migliore. Non ci saranno pericoli per Ashdale e per il bosco finché il bambino rimarrà affidato alle cure amorevoli dei druidi. Nessuno meglio di loro potrà insegnargli l’amore per la natura, il rispetto per le cose che crescono e per l’equilibrio che permea il mondo. Non vincerai, Faldorn. La tua maledizione non avrà effetto. Cernd lo giura a se stesso ad ogni passo del suo cammino. Proteggerà suo figlio, qualunque sia il prezzo. Anche a costo di stargli lontano. A costo di soffocare la voce del suo cuore, che in quello stesso momento gli grida di tornare indietro e correre a riabbracciarlo.
Note: come avrete intuito la storia è ambientata durante la sfida contro Faldorn al bosco dei druidi, ma ho aggiunto vari tocchi personali. Chi la conosce noterà che qui si respira a pieni polmoni mitologia greca. In molti miti infatti (nell'Iliade, ad esempio) le parole dei morenti hanno poteri profetici. Altra regola fondamentale della mitologia greca, nessuno scampa al volere del Fato, neanche gli dèi. Anzi, più cerchi di opporti e più finisci per fare esattamente la sua volontà. E' quello che succede qui al povero Cernd, che pensa di fare il meglio per suo figlio e invece finirà per estraniarsi da lui. La profezia di Faldorn si avvererà nel finale post Throne of Bhaal, forse uno dei più tristi tra i finali dei vari png. Nell'originale Cernd trascurava il Figlio per via dei suoi doveri di druido, ma come ho scritto volevo aggiungere un tocco personale
Comments
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Personaggio: Viconia DeVir
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico
Rating: giallo
Avvertimenti: basata su avvenimenti narrati nei dialoghi della romance di Viconia
In the dark of the night I was tossing and turning
And the nightmare I had was as bad as can be -
It scared me out of my wits -
Then I opened my eyes
And the nightmare was... me!
(“In the Dark of the Night”, Anastasia)
Nella notte e nel buio
Il vento è una raffica di lame affilate come rasoi. Il suo ululato pervade la foresta, sferza i rami spogli degli alberi e dà vita a un sinistro concerto che le ricorda un’avanzata di guerrieri non morti e il cozzare delle ossa contro il metallo di spade e armature.
Gli ingenui rivvil hanno interrotto la caccia, sicuri che la notte e la tempesta in arrivo completeranno l’opera da loro iniziata. Sciocchi. La notte è quanto di più vicino alle tenebre del Sottosuolo esista nel mondo di superficie: l’ora perfetta per i drow. L’ora perfetta per le streghe.
Il vento cancella in un attimo le sue impronte sulla neve. Viconia si avvicina al gruppo di fattorie come uno spettro, senza lasciare tracce, il lungo mantello nero che ondeggia a imitazione di quello della notte.
Uno degli umani esce di casa per prendere altra legna da aggiungere al fuoco, una figura incappucciata che si strofina le mani nel vano tentativo di proteggerle dal freddo. In un attimo si ritrova faccia a faccia con la sua mazza ferrata. Neanche il tempo di urlare e il suo corpo si abbatte al suolo. Il suo sangue schizza sul viso di Viconia e tinge la neve di rosso.
“Assassina… “ l’uomo riesce solo a rantolare, la sua voce troppo debole per chiamare aiuto. “Strega… tu… hai ucciso Roran e i suoi figli… “
L’ultimo sguardo del rivvil morente è carico di odio, di accusa, di paura. Assassina, certo. Roran invece era un brav’uomo, che ha fatto solo il suo dovere catturando e cercando di uccidere una perfida drow. E di certo lui e i suoi figli hanno compiuto un atto meritevole nell’abusare di lei prima di decidere di farla fuori. È la giusta punizione che la strega drow merita per una vita condotta nella lussuria e nel peccato.
Viconia si inginocchia nella neve e appoggia il palmo sul corpo ancora caldo dell’uomo. Il potere di Shar, la Signora della Notte e della Perdita, accorre rapido al richiamo della sua umile servitrice, sorge come una fiamma ghiacciata dal centro del suo petto e scorre lungo il braccio e la mano fino a riversarsi nel cadavere, colmandolo di nuova energia. Il rivvil si rialza come tirato da fili invisibili, barcollando, gli occhi vuoti e privi di vita.
Viconia sfiora con la punta delle dita il contorno del suo viso e gli sussurra all’orecchio: “Sai qual è il tuo compito, mio guerriero non morto.”
I rivvil temono la strega, e per questo le hanno dato la caccia fin dal giorno della morte di Roran, braccandola come un animale. Si sono schierati dalla parte del loro simile, incapaci di credere che una drow desiderasse soltanto vivere indisturbata, in una semplice casa come tante altre alla periferia di Beregost.
In un certo senso, hanno vinto loro. Perché la strega di cui tanto parlavano alla fine è arrivata davvero. È venuta a prenderli, volando su ali di tenebra e gelo. Nella notte e nel buio maledirà i loro figli, brucerà le loro case, distruggerà il loro raccolto. Ghermirà le loro vite, ne spezzerà il filo con i suoi artigli velenosi.
Un sorriso increspa il volto bellissimo della strega mentre il non-morto rientra in casa e le prime urla squarciano il cielo dell’inverno. Il pianto e le grida dei rivvil si mescolano al rombo del vento, e in pochi minuti decine di altri cadaveri dagli occhi spenti si aggirano per le case, incuranti del morso del gelo e della neve che danza vorticando e appiccicandosi ai loro visi esanimi.
I pochi che riescono a scampare ai non-morti incontrano il ferro della sua arma e il fuoco implacabile della sua magia.
Solo quando l’ultimo respiro si spezza la strega decide che può bastare. Affranca i non-morti dal suo dominio, lasciandoli liberi di vagare senza scopo tra le rovine delle case. D’ora in poi infesteranno la foresta, portando l’ombra del suo rancore e della sua vendetta su altri maledetti rivvil. Un ultimo sguardo alle fattorie devastate e la strega si volta. Si stringe nel mantello nero e senza lasciare tracce scompare oltre il cerchio degli alberi, dileguandosi nella notte e nel buio.
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Personaggio: Nalia de'Arnise
Genere: Malinconico, Introspettivo, Missing Moments.
Rating: verde
Avvertimenti: si collega ad una storia scritta da Lisaralin.
Escape
Sto volando.
Il balcone si allontana a una velocità impressionante, il vento batte nelle orecchie più forte di qualsiasi tamburo mentre nel buio si staglia soltanto lo stralcio di un lenzuolo bianco che ghigna verso di me, non più annodato. Grido, grido ancora più forte, e l’unico pensiero è che per quanto io possa urlare non sboccerà mai nessun paio d’ali che mi possa far tornare indietro.
Perdonami, Clara.
Tutto avevo progettato, tranne un’invasione di parenti distanti chissà quante miglia sull’albero genealogico. Hendron si era offerto di coprire il turno di guardia delle nove e trenta per aprirmi il portone con il fare della sera, ma la clessidra aveva da poco indicato le undici quando la seconda portata di carne era sfilata sotto il mio naso.
Zia Delcia è stata ancora più insopportabile del solito. “Tua cugina di qua, tua cugina di là” … se la sposasse, mia cugina! Lei ed il suo accento da principessina di città con un vestitino che sarà costato quanto la casa della povera Clara … senza contare i suoi interessantissimi discorsi su un unguento speciale proveniente nientedimeno che da Calishman per curare le unghie spezzate. Ovviamente durante la ventesima portata zia Delcia si è lanciata in un’orazione sullo stato pietoso delle mie unghie, e quando ho cercato di cambiare discorso fingendomi interessata ad un’eventuale matrimonio della mia adorabile parente la situazione mi è sfuggita di mano. O meglio, è sfuggita dalla bocca di papà quando ha nominato il rampollo dei Roenall. E lì si è scatenato il temporale che ha imperversato fino al secondo giro di dolci finché mia cugina ha annunciato di essere stanca e si è ritirata nelle sue stanze.
A quest’ora Clara avrà finito di cenare e si starà domandando che fine io abbia fatto. Purtroppo il turno di Hendron è terminato da poco, dunque l’unica soluzione è quella di improvvisare; le lezioni sui nodi di Hurgan e delle vecchie lenzuola affiorano in un angolo della mente al momento opportuno.
Il regalo per il compleanno della mia migliore amica mi preme contro il corsetto, ma se la zietta si accorgesse che ho accidentalmente trafugato una delle sue mille spille non riuscirei a mettere il naso fuori dalle mie stanze per i prossimi quindici anni.
La fune improvvisata regge. Assicuro i lenzuoli al baldacchino del mio letto con altri tre nodi e la getto dalla finestra; dopo pochi istanti la corda attraversa il buio ed arriva fino a terra. Perfetto. Pazienta ancora qualche minuto, Clara.
Una volta superato il balcone c’è solo il vuoto. I piedi trovano il muro prima ancora che le mani abbandonino la balaustra. La mano destra si stacca e afferra la stoffa, ed in un istante il vento mi ricorda che sono a dieci metri da terra. Le dita tremano. Non devo guardare.
Quando la mano sinistra cerca la fune scopro di essere leggera. Come una nuvola. Grido come non ho mai fatto in vita mia, la gola brucia ma all’improvviso qualcosa mi afferra il polso e vi affonda delle unghie che pongono fine al mio urlo ed al volo senza ritorno. Due braccia esili entrano nel mio campo visivo, ed una serie di imprecazioni lanciate da una voce elegante e soave come un Deva accompagnano la mia risalita.
“Ho sempre pensato che fossi una perfetta idiota …” mormora la mia salvatrice, fissandomi con un’espressione che manderebbe in sollucchero zia Delcia. “Ma scappare in un modo così stupido … fattelo dire, cuginetta, ne hai di cose da imparare!”
“Skie, ti prego, non …”
“Dirlo a tua zia? Ci mancherebbe altro! Altrimenti si chiederebbe come mai mi trovavo nella tua stanza invece che nella mia! E spiegarle che il tuo balcone è quello più vicino a terra di tutta la vostra decrepita fortezza non credo che le andrebbe a genio!” sorride con la sua espressione perfettina che riempie di agre un ipocrita sorrisetto complice. Il suo sguardo disgustato va da me alle lenzuola annodate, poi solleva la gonna ed una fune scivola dalle balze del vestito legandosi al letto con un nodo così rapido che a malapena riesco a seguire il movimento di quelle mani perfettamente curate. La lancia oltre il balcone e la tira con tutte le forze per un paio di volte, saggiandone la resistenza finché non appoggia le mani ai fianchi in modo soddisfatto. “Non vorrai rovinare l’appuntamento con il tuo principe azzurro fracassandoti al suolo, no?”
“Non c’è nessun principe azzurro, Skie” rispondo, osservandola mentre inizia lei stessa una paurosa discesa nel vuoto, la stessa principessa che meno di un’ora fa parlava di vestiti, unghie e matrimoni con la stessa eleganza con cui adesso scivola contro il muro, appoggia i piedi e lentamente scompare. Potrei giurare che in basso c’è un uomo a cavallo ad attenderla, ed un oggetto dorato risplende per un istante alle luci della fortezza prima di scomparire sotto un mantello. “Solo un’amica che ha bisogno di me …”
Suppongo che alla mia lontana cugina il discorso non importi più. Forse non lo ha nemmeno sentito. La tensione della corda diminuisce di colpo ed in un battito di ciglia scompare, impeccabile come sempre e con la scia di profumo che ancora impregna la fune, unico segno del suo passaggio. Sicuramente domani mattina sarà nel suo letto perfettamente riposata, e nel suo abito non compariranno le pieghe che invece faranno capolino sul mio; ma la corda è ancora qui, salda contro ogni logica, perfetta davanti alle mie semplici lenzuola. Una lezione interessante, ma nulla potrà superare lo sguardo di Clara quando scoprirà che la sua amica non ha scambiato una serata in sua compagnia per una riunione di stupidi e pomposi nobili. Respiro di nuovo ed inizio a scendere.
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Personaggio: Valygar Corthala
Genere: Introspettivo, Malinconico, Missing Moments
Rating: verde tendente al giallo
Avvertimenti: basata sul finale di Valygar post Throne of Bhaal. I nomi della moglie e del figlio di Valygar sono di mia invenzione.
Sete di libertà
“Ispettore Corthala, gli atti degli ultimi processi sono sulla sua scrivania.”
“Ispettore Corthala, il carico di rape rubate è stato sequestrato come da suo ordine. Procederà lei all’interrogatorio dello gnomo?”
“Ispettore Corthala, le ricordo che la riunione straordinaria del Consiglio inizierà tra dieci minuti.”
“Ispettore Corthala… “
“Basta così.”
Il trio di attendenti rimane spiazzato dalla durezza del tono. Dopo tanti anni al servizio dell’Ispettore Capo più pacato e tollerante che Athkatla ricordi devono aver dimenticato cosa significa essere redarguiti. Valygar approfitta dell’attimo di esitazione e allunga il passo, guardando dritto davanti a sé per non incontrare le loro facce costernate. La terrazza in fondo al corridoio gli appare come un miraggio, un quadrato di luce che sembra tentarlo con promesse di conforto e ristoro.
La prima boccata di aria fresca è una benedizione per i suoi polmoni soffocati da ore trascorse tra scartoffie e riunioni tediose. Chino sulla balaustra che si affaccia sui giardini del Consiglio dei Sei, Valygar inspira come un disperato in procinto di annegare. Come se ogni respiro fosse l’ultimo. Un soffio di vento si impadronisce di una ciocca dei suoi capelli e la fa ondeggiare davanti al viso; nella luce del tramonto, le striature grigie sembrano ancora più evidenti.
Non ho più l’età per questo.
Tutto è diventato immensamente più difficile dopo la morte di Alyanne. Il vento gli porta il ricordo di infinite serate trascorse insieme su quella stessa terrazza, abbracciati a guardare il sole dipingere di rosso e oro i tetti di Athkatla e la vita frenetica della Città della Moneta cedere il passo alla quiete della notte.
“C’è poco verde ad Athkatla” era solito lamentarsi con la moglie, affondando il viso e le inquietudini di una lunga giornata di lavoro nel profumo dei suoi capelli.
Lei allora gli regalava una delle risate melodiose che gli rimescolavano il sangue nelle vene: “Scherzi, tesoro? Il Quartiere Governativo è pieno di parchi!”
Parchi, già. Aiuole rasate con precisione millimetrica, cespugli senza neanche un rametto fuori posto, impeccabili nei loro abiti verdi quanto le nobildonne che vi passeggiano accanto. La natura ad Athkatla è una bestia addomesticata. Il bosco, quello vero, è un’altra cosa. Nessuno lo sa meglio di un ex ranger.
Da dove si trova non vede gli alberi, ma può immaginarli se spinge lo sguardo oltre la distesa di tetti e il cerchio imponente delle mura cittadine. Chilometri e chilometri di foresta inviolata dalla mano dell’uomo, un rifugio da occhi e orecchie indiscrete per chi sa come dileguarsi nel suo abbraccio.
I suoi vecchi amici, il Figlio di Bhaal e la sua maga selvaggia, devono essere là fuori da qualche parte. Gli hanno inviato un messaggio giusto qualche giorno fa, poche righe per invitarlo a unirsi all’ennesima caccia ai maghi rossi. Pare che un piccolo nucleo di Thayani si nasconda proprio nei boschi intorno la città, e ovviamente non mancano gli inevitabili maghi selvaggi da salvare.
Sono troppo vecchio ormai per giocare all’eroe.
Non ha ancora risposto al messaggio. Sono anni che non li incontra di persona: l’ultima volta è stato per la commemorazione in onore di Keldorn, il loro vecchio compagno di avventura. Non potrà mai dimenticare il suo ultimo messaggio. Una disperata richiesta di aiuto, vergata in fretta da mani intrizzite dal gelo nei passi montani intorno ad Amn assediati dai giganti. Valygar ha praticamente forzato la mano del Consiglio ottenendo l’invio di un intero reggimento, e ha cavalcato giorno e notte per portare rinforzi all’amico di un tempo. Non abbastanza in fretta.
“Ispettore Corthala… la riunione… “
Uno degli attendenti si è deciso a seguirlo sulla terrazza. Ovviamente la tregua non poteva durare a lungo.
Il solo pensiero di rientrare nell’accaldata sala del Consiglio gli fa salire un’ondata di nausea. Improvvisamente lo prende il desiderio di rivedere i vecchi amici, di brindare con loro alle passate avventure e al ricordo dei compagni caduti. Di respirare ancora una volta i profumi del bosco e della terra umida sotto i piedi, lontano dal puzzo acre e stantio della città.
Sa che deve farlo subito. Se perde ancora tempo a pensarci la razionalità avrà il sopravvento e lo fermerà.
Con un gesto si libera del mantello di velluto con le insegne di Athkatla, lasciandolo cadere a terra. Abiti più comodi lo attendono nella sua vecchia casa al Quartiere dei Moli, dove tutto è rimasto esattamente come un tempo. Il suo secondo è più che preparato a gestire la situazione in sua assenza, e i messaggi di Aster dall’accademia degli Stregoni Incappucciati non fanno che ripetere quanto il figlio si trovi bene e sia felice di imparare.
Tutto sommato può concedersi una breve vacanza.
L’attendente trattiene il fiato quando lo vede scavalcare la balaustra. Poggia i piedi su un cornicione finemente intarsiato, pensando che tutte quelle statue e decorazioni che ha sempre considerato pacchiane ora serviranno solo a facilitargli la discesa. Le ginocchia scricchiolano, ma la sua presa resta salda, e le mani non tremano.
Forse non sono ancora così vecchio.
“Ispettore Corthala…. “ il tono dell’attendente è a dir poco scandalizzato. “Si può sapere dove va?!”
La risposta arriva quando ormai Valygar ha quasi toccato il suolo.
“A caccia di maghi rossi.”
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Personaggio: Edwin Odesseiron
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: arancione
Avvertimenti: chiedetele a Edwin.
Shade Impulse
Maledizione!
Niente, assolutamente niente. Ma ci deve, ci DEVE essere qualcosa!
La punta del bastone genera una luce troppo fioca, ma se evocassi una vera palla di fuoco (non come gli incantesimi di quella avariel da circo) finirei per distruggere quel poco che rimane in questa cripta. Dai vasi canopi esce solo cenere annerita dal tempo, tutto ciò che rimane di quel bastardo di Nevaziah e dei suoi apprendisti; nulla, quello che sembra un antico grimorio mi si sgretola tra le dita appena ne giro la copertina mentre anche l’aria nei miei stessi polmoni si fa putrescente. Vorrei ignorare il sorriso sarcastico di Haer’Dalis e le battute di quella stupida ranger formato tascabile, ma le loro voci rimbombano insieme all’ennesimo vaso di coccio che va in frantumi senza rivelare il segreto che quel dannatissimo lich si è portato in chissà quale angolo dell’Abisso.
“Deve pur essere da qualche parte!” mormoro per scacciare il silenzio che lentamente si fa strada nella cripta. Ma la voce che riempie la stanza non è la mia. Appartiene a una donna, una bellissima donna dal vestito rosso che sta disperatamente cercando in questa tomba qualcosa per scacciare la disgraziata maledizione di cui è rimasta vittima. La stessa che da dieci giorni mi guarda dall’altra parte dello specchio e che adesso mi lancia uno sguardo furente dalla superficie metallica di un vecchio scudo di bronzo illuminato dal mio bastone.
“Edwin, dietro di te!”
Un ghoul esala l’ultimo fiato della sua non-vita proprio davanti al mio visto mentre cade a terra, il cranio colpito da una freccia; un secondo allunga la sua mano scheletrica nella mia direzione (come DIAVOLO ho fatto a non accorgermi di loro), ma un’ombra scivola nella sua direzione, nera e veloce come un vero impulso di tenebra. Un pugnale riflette la poca luce della cripta trapassando il ghoul alle costole, mentre una coppia di canini affonda nel collo della bestia agonizzante tingendo le pareti di icore giallastro. Il primo non-morto cerca ancora di alzarsi, ma stavolta sono abbastanza pronto e la vampa infuocata che mi nasce dalle dita è sufficiente a garantirgli un lungo, eterno riposo. La mia salvatrice sorride soddisfatta, scivolandomi al fianco come la regina delle ombre. “Hai del coraggio a scendere qui sotto …”
“Più che coraggio direi … una necessità impellente” le rispondo cercando di ignorare il profumo che emana il suo corpo decaduto. Hexxat racconta di sogni e magia al lume di candele orientali al sapore di mirto e datteri, Hexxat che rifiuta una notte di passione col più grande stregone di Thay mostrando i denti e ride delle lusinghe dei bardi con il suo passo felpato. “Cosa ci stai facendo qui? Non hai seguito scodinzolando il tuo adorato figlio di Bhaal a salvare dei poveri mocciosi indifesi che pare siano molto, molto più importanti della dignità dell’unico mago decente del gruppo? (bambini schiavi? Puah, una palla di fuoco ben assestata e li libererei in un attimo dalle loro sofferenze!)”
“C’erano delle cose che dovevo assolutamente fare, delle domande a cui trovare delle risposte. E non posso caricare il mio fardello sulle spalle degli altri” sorride avvicinandosi ancora di più. Le sue dita d’ebano sfiorano i resti della tomba di Nevaziah, disegnando un delicato arabesco sul letto di polvere mentre armeggiano sulla sommità del sarcofago su cui io ho già lavorato a lungo. “Non sei l’unico che vuole liberarsi da una maledizione”.
“Oh, davvero? (da quando in qua essere belle, immortali, potenti, indistruttibili, veloci e con un corpo sodissimo è una maledizione? Ma quel maledetto lich poteva darmi una pergamena maledetta del vampirismo invece di questo corpo?) Perché penso proprio che …” e il mio respiro si ferma. Quello che scivola sulla mia pelle è il suo dito, ma sembra leggero come un pennello imbevuto di tempera; rabbrividisco a quel tocco caldo e freddo allo stesso tempo, la spina dorsale attraversata da un piacevole tremito che questo corpo di donna non dovrebbe provare. Il suo fiato sul mio collo è umido, il pensiero dei pericolosi canini bianchi immediatamente trasformato in una scarica di piacere quando appoggia le labbra brune contro la mia spalla. “… che potremmo cercare le nostre risposte insieme” mormora lei ed unisce le nostre dita in una delicata spirale che ci avviluppa e ci trascina contro la lapide della tomba.
Se solo avessi il MIO corpo sono certo che la situazione sarebbe molto, molto più …
Un meraviglioso brivido corre dalle labbra fino alla punta dei piedi quando la regina della tenebre scioglie i fermagli del mantello rivelando il suo corpo perfetto all’ultima luce del bastone, che ne delinea per un istante le forme esotiche prima di far scivolare di nuovo la cripta nella notte più totale.
“Mi auguro che tu non abbia paura del buio …”
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Personaggio: Mazzy Fentan
Genere: Introspettivo, Malinconico, Drammatico, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: scritta in parte su un quadernino tra un autobus e l'altro... non garantisco sulla qualità XD
If I were a paladin
L’elfa alata è bellissima.
La piccola Mazzy non riesce a staccarle gli occhi di dosso. In centinaia di passeggiate per i boschi intorno a Trademeet non ha mai incontrato una creatura così luminosa e delicata. L’ha scorta per un attimo in mezzo ai tendoni colorati del circo e si è avvicinata come attratta dal canto di una sirena, tutte le sensazioni della sua prima visita nella grande città dimenticate di colpo. Il vociare allegro del giorno di mercato, i colori degli abiti delle donne che passano da una bancarella all’altra con i cesti pieni di frutta e stoffe, gli strilli dei bambini che si rincorrono per la passeggiata di Waukeen, i mille odori di cibo, di cuoio, di spezie, di sudore… tutto viene relegato a rumore di sottofondo di fronte agli occhi azzurri e pieni di tristezza della splendida avariel. A Mazzy sembra di galleggiare al centro di una bolla d’acqua che la separa dal resto del mondo, includendo solo lei e l’elfa.
E le sbarre della gabbia.
Spesse, arrugginite, serrate attorno all’avariel in una morsa che le impedisce di dispiegare pienamente le sue meravigliose ali, più ampie di quelle di un’aquila o di un albatros. Invece è costretta a tenerle ripiegate attorno al corpo esile come un debole scudo frapposto tra lei e il mondo esterno, e persino una bambina come Mazzy si rende conto dei segni della decadenza dietro la loro bellezza maestosa. Le piume sono rade, arruffate, il colorito spento, un giallino malato ha spodestato il bianco candido che dovevano sfoggiare ai tempi in cui la creatura si librava senza catene nel cielo.
Come una pianta strappata al bosco e costretta nei confini di un vaso angusto, l’avariel sta sfiorendo.
“Ciao… “
Il suo timido saluto non ottiene risposta. L’elfa continua a fissare il vuoto, le ginocchia raccolte contro il petto e il viso in parte nascosto dai capelli biondi.
Solo in quel momento Mazzy si rende conto di aver perso di vista suo padre. Si volta in tutte le direzioni passando in rassegna lo spazio affollato tra i tendoni e le bancarelle, ma non lo vede da nessuna parte.
La sua attenzione però viene catturata da qualcos’altro.
Accanto alla gabbia dell’avariel c’è un uomo seduto su uno sgabello di legno, le braccia incrociate sul petto e un cappellaccio calato sulla fronte. Il guardiano, a giudicare dal mazzo di chiavi che gli pende dalla cintura.
L’uomo dorme della grossa.
Mazzy decide all’istante. Getta una rapida occhiata intorno: l’area del circo è gremita di gente, ma nessuno fa caso a lei o sembra guardare nella sua direzione. Ora o mai più.
Si avvicina cautamente al guardiano, gli sfila il mazzo di chiavi dalla cintura e si dirige subito verso la gabbia. Solo allora l’elfa reagisce: solleva la testa, e Mazzy si ritrova faccia a faccia con i suoi occhi sgranati, colmi di stupore e paura. Le sorride per rassicurarla, mostrandole le chiavi, ma lei scuote la testa disperata, le treccine bionde che si agitano selvaggiamente attorno al suo viso come un’aura luminosa. Fissa un punto dietro le sue spalle con l’espressione di chi ha appena visto i Nove Inferni spalancarsi.
In quel momento una morsa ferrea si stringe attorno al polso di Mazzy.
“Che cercavi di fare, ragazzina?!”
La morsa si stringe ancora, le chiavi scivolano dalle sue dita intorpidite e rimbalzano tintinnando a terra. Il polso le fa malissimo, ma Mazzy si morde l’interno del palato e si impone di non lasciarsi scappare nemmeno un grido. Attraverso il velo di lacrime che le appanna gli occhi il ghigno del guardiano le appare distorto e feroce, e il suo cuore manca un battito quando vede il braccio libero di lui sollevarsi minaccioso sopra la sua testa.
“Ora ti insegno io cosa succede ai bambini che rubano.”
L’uomo è troppo più grande e più forte di lei, divincolarsi dalla sua stretta è impossibile. Mazzy serra gli occhi, pronta all’inevitabile schiaffo.
“No! Lei non c’entra niente!”
Il grido dell’elfa è flebile e strozzato, una voce che sicuramente non viene usata da molto tempo, eppure in qualche modo riesce a frenare la furia del guardiano. O almeno a scatenarla in un’altra direzione.
“Che stai dicendo, stupida?” l’uomo strattona il polso di Mazzy, quasi sollevandola da terra, ma abbaia i suoi insulti contro l’elfa prigioniera. “Che ne può sapere una lurida bestia da esposizione?!”
“Sono stata io!” esclama l’avariel, tremando. “Le ho chiesto io di farlo! Lei è solo una bambina, pensava che fosse un gioco!”
I secondi successivi sono carichi di tensione e di un silenzio agghiacciante. Dopo attimi che sembrano eterni la mano dell’uomo finalmente si apre e libera il polso dolorante di Mazzy, lasciandola cadere a terra con malgrazia.
“Allora suppongo che stasera, dopo l’orario di chiusura, sarai tu a essere punita.” La voce del guardiano è bassa, terribile, vibrante di una minaccia che promette ben peggio di qualche semplice schiaffo. Sotto il suo sguardo crudele e privo di compassione l’elfa si fa ancora più piccola, si rannicchia tremante sul fondo della gabbia nascondendosi dietro il precario scudo delle sue ali rovinate.
Se solo avessi una spada…
Se avesse un’arma qualunque, se fosse più grande, più alta e più forte, potrebbe sfidare quel viscido schifoso a duello, trafiggerlo come un pollo allo spiedo e fare in mille pezzi le sbarre, e poi sollevare la lama al cielo per salutare con un grido esultante il primo volo della meravigliosa creatura.
Invece è solo una bambina, e non può fare altro che guardare la gabbia con gli occhi pieni di lacrime mentre alle orecchie le arriva confusa la voce di suo padre, che in qualche modo l’ha ritrovata e tutto affannato si profonde in mille scuse con il guardiano per il disturbo arrecato. Può solo lasciarsi trascinare via, e prendersi in silenzio i suoi due schiaffi per essersi allontanata senza permesso. In fondo se li merita, perché per colpa sua alla povera elfa capiterà molto peggio.
Quella notte, nel buio della sua stanzetta alla locanda dei Sette Veli, la piccola Mazzy giura solennemente a se stessa che da grande diventerà un paladino, per avere una spada da brandire contro i guardiani malvagi e salvare tutti gli innocenti prigionieri del mondo.
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Molto bello. Complimenti!
Proprio mentre leggevo l'inizio della frase, dentro di me ho pensato che sarebbe stato bello se avessi detto qualcosa sull'accento. ;-)
Personaggio: Haer'Dalis
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti: non ho trovato la traduzione completa di tutte le carte del Mazzo delle Meraviglie. Su alcune di esse ho improvvisato, spero perdonerete questa mia svista. Forse Haer'Dalis mi è venuto meno fatalista del normale, ma più di così non riusciva ad uscire.
Gambler of Fate
“Niente male, tiefling”
Il volto del cambion è nascosto dietro il pesante elmo nero, ma so che sta ridendo. “Davvero niente male. Ed ora è il mio turno”
Il mondo inizia a vorticare. Se non avessi alleggerito Nalia del suo anello di protezione dal fuoco adesso non sarei troppo diverso dai teschi anneriti dal tempo che cospargono il pavimento di questa stanza. Devo rimanere lucido. Devo uscire di qui. Minsc mi ha visto sgattaiolare nel tunnel, e per quanto credesse fermamente che io dovessi cercare una latrina, a quest’ora persino lui avrà capito che i miei bisogni stanno durando più del normale.
Il cambion Aesgareth mescola il Mazzo delle Meraviglie. Lentamente. Le carte antiche come il mondo frusciano in quel movimento, nel silenzio generale sembrano quasi parlare, cantare, chiedono che qualcuno canti la loro stupenda meraviglia di morte; un tesoro mille volte più prezioso di Carsomyr il Santo Vendicatore. Il demone mi fa cenno di tagliare il mazzo, e io obbedisco. Poi estrae una carta. “Oh, la Luna … la fortuna è dalla mia parte stasera …”
Bastardo.
Un pulviscolo argentato nasce dalla carta e lo avvolge, liberando un incantesimo di guarigione. Non si può barare con il Mazzo delle Meraviglie, ma non posso negare che oggi Tymora abbia eletto Aesgareth come suo unico, focoso amante. Eppure sono sempre stato piuttosto orgoglioso delle mie notti di passione con la dea, tra birra, carte e bellissime donne che sorridono a me, a lei e poi di nuovo a me, la Signora del Fato ed il suo cantore. Forse ho fatto troppo affidamento su di lei, e ho dimenticato una cosa importante. Tymora non dorme troppo a lungo con lo stesso uomo.
“Coraggio, tiefling” sussurra il cambion. Si muove come un animale intorno alla preda intrappolata, so che sta annusando la mia paura e questo lo riempie di un piacere primordiale. Sa già che la vittoria è sua. Posso salvarmi in questo turno, forse per i prossimi due, ma non posso andare avanti ancora per molto, la ferita della Lama Fantasma che ho evocato tre turni fa continua a perdere sangue ed eccita il corpo millenario nascosto sotto la corazza. I suoi servitori si avvicinano, gustandosi tutta la scena, avvoltoi in attesa che il predatore si serva per primo per poi giocare con i suoi scarti; forse stanno scommettendo quanto tempo mi resterà da vivere. “Fai la tua mossa”.
La vita è un pugno di cenere al vento.
Vorrei … vorrei avere il coraggio di ripeterlo. Vorrei dirlo serenamente, come ieri l’ho spiegato al figlio di Bhaal. Ma adesso … è diverso. Tutto diverso. Incredibilmente diverso.
E sbagliato.
Non voglio morire in un piano remoto della Fortezza dell’Osservatore. Neanche se questo è il mio destino, nemmeno se fosse l’univa via verso l’Oblio. Qualunque cosa. Davvero qualunque cosa per non girare quella …
“Mi piaci, ibrido”. Aesgareth ride con la sua voce gutturale, e per un attimo ritrae il mazzo di carte, allontanandolo dalla mia mano proprio quando i polpastrelli ne stanno per sfiorare la superficie; il corpo del demone emana del gelo di un antichissimo passato, anche quando intorno a noi ci sono soltanto zampilli di lava. “Hai coraggio, una qualità rara in voi sangue misto. E, visto che mi sento incredibilmente generoso, voglio farti un’offerta …”
Tymora, allora …
“Avrei proprio bisogno di un servitore come te, uno che non abbia paura di fronteggiare il destino, la morte o una partita al Mazzo delle Meraviglie. Puoi sottometterti a me, e nessun planare ha mai detto che agli schiavi di Aesgareth manchino potere, femmine e sangue. China il ginocchio, pronuncia le parole che sai e dimenticherò che questo gioco sia mai iniziato”.
Ci può essere qualunque cosa dietro quella carta. Le Erinni, o forse il Vuoto. O il Ladro, e a quel punto qualunque pensiero razionale volerebbe via dal corpo; potrei pescare l’Artiglio ed accettare che le tenebre si posino per sempre sui miei occhi. Oppure la Morte, il cui dito calerebbe su di me senza alcuna pietà. Il destino è cinico, ma ci sono cose che nemmeno lui può fare. Non se io non voglio. Il copione è ancora bianco. “Ti piace il mio coraggio, Aesgareth?”
Non ho alcuna intenzione di perdere le mie ali. Mekrath ha provato ha tagliarmele una volta, e non permetterò ad un cambion di sbranare l’unica cosa davanti alla quale anche la vita perde qualunque significato. Ho portato il collare una volta. E ho imparato la lezione. Se devo volare verso la morte, lo farò da solo, come un vero attore. “Lo sai cosa si dice a Sigil? Chi non brucia le proprie ali al sole non ha alcun diritto di volare in cielo”. Qualunque cosa accada.
L’immagine sulla carta sbiadisce alla mia vista, illuminandosi e trasformando il mondo in una potente folata di vento che alza in aria tutte le carte in un turbine che sfugge alla presa del demone; l’urlo del cambion attraversa lo spazio veloce come una frusta e l’incantesimo arcano che lancia al mio inseguimento mi lambisce le gambe prima di essere spazzato via dal potere divino del Mazzo delle Meraviglie. Il marmo nero è l'ultima cosa che vedo nel vortice finché non impatto contro la sua superficie, lo stomaco al posto del cervello e la sensazione di poter rimettere tutta la birra delle ultime tre settimane.
“Ehi, ma che ti è successo? Boo temeva che fossi stato colpito dalla stessa dissenteria che ha colpito la nonna di Jan ed i suoi tredici pronipoti. Boo lo dice sempre che una dieta a base di semi di girasole e lattuga è la migliore per un guerriero; e adesso che sei uscito posso finalmente …”
“Minsc, la latrina decisamente NON è da quella parte!” mormoro, osservando il corridoio che porta all’inferno. L’altro mi guarda, ma non è il momento delle spiegazioni.
Io e Tymora abbiamo una lunga chiacchierata da fare, e non sarò avido di preliminari.
La figura della Torre smette di risplendere, anche se quando ripongo la carta sotto i vestiti emana ancora un certo tepore.
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Personaggio: Minsc e Boo
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: mi rendo conto che tutto ciò non ha una gran coerenza interna, ma su Minsc ero veramente in crisi. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Dynaheir, dalle sue battute in BG1 ho avuto l'impressione che tratti Minsc con molta superiorità, per cui ecco cosa è venuto fuori...
Memories of his witches
L’avevo sempre considerato uno stupido.
Io, figlia orgogliosa di una delle stirpi più nobili di Rashemen, Whychlaran di grande potere, non avevo paura di percorrere da sola le impervie vie del mondo. Se ho accettato un compagno di viaggio, un “guardiano”, come lo definiscono le Anziane, è solo per rispetto della consuetudine del dajemma e delle tradizioni del mio popolo. Ma non ho mai dubitato di riuscire a superare la mia prova di iniziazione senza l’aiuto di nessuno.
Fino ad ora.
In fondo cos’era stato Minsc per tutta la durata del nostro viaggio? Utile per caricarsi in spalla gli zaini e le armi più pesanti, certo, ma un buon mulo sarebbe servito perfettamente allo scopo. Con l’indiscutibile vantaggio che un mulo non parla a sproposito, non ti fa fare figuracce in ogni villaggio che attraversi, non produce il frastuono di cento eserciti quando sarebbe auspicabile il silenzio. Un mulo probabilmente mangerebbe di meno, e di sicuro sarebbe molto, molto più intelligente. Soprattutto, non trascorrerebbe intere serate attorno al fuoco a parlare al suo criceto di argomenti senza capo né coda.
In breve, l’ho sempre ritenuto un peso morto.
Il peso morto, però, stavolta è tornato per me. Non solo, ha anche reclutato un gruppo di avventurieri al solo scopo di venirmi a salvare. Ha percorso miglia e miglia nei territori più inaccessibili della Costa della Spada per salvare la maga superba che non lo riteneva neanche capace di ritrovare da solo la via per la Fortezza degli Gnoll. La maga che si credeva perduta una volta che le sue pergamene sono state stracciate, il suo grimorio dato alle fiamme e il suo corpo fiaccato dalle privazioni di una lunga prigionia.
“Dove arriva Minsc, il male si ritira! Resisti, mia strega!”
Ora il respiro mi si ferma nel petto mentre lo vedo avanzare verso di me con la spada sguainata, falciando uno gnoll dopo l’altro come un turbine inarrestabile di potenza e precisione. È come se una benda mi cadesse dagli occhi, e per la prima volta vedo Minsc per quello che realmente è. La sua mancanza di grazia diventa forza dirompente, la sua ottusità coraggio e generosità senza limiti, la sua cocciutaggine pura e disinteressata lealtà. Accanto a lui, Boo è una palla di pelo impazzita che schizza da un nemico all’altro graffiando senza sosta occhi e visi.
Quando finalmente l’ultimo gnoll cade al suolo e le braccia forti di Minsc mi tirano fuori dal pozzo lurido che per giorni è stato la ma prigione non posso fare a meno di abbracciarlo. Boo mi salta sulla spalla e sfrega la sua morbida pelliccia contro la mia guancia. Giurerei che abbia capito quando detesto mostrare le mie lacrime.
“Chi osa fare del male alla mia strega si ritroverà stampata sul sedere l’impronta degli stivali di Minsc!”
Riso e pianto di mescolano sulle mie labbra. Di slancio lo abbraccio di nuovo, e decido che d’ora in poi nessuno potrà separare il prode Minsc, il valoroso Boo e la loro strega.
Ultimamente mi capita spesso di ripensare ai miei compagni di viaggio di un tempo.
Sono passati anni da quando ero una ragazzina spaventata dalla sua ombra, timorosa persino di mettere piede oltre il recinto sicuro e protettivo del circo. Da allora sono diventata una grande maga, somma sacerdotessa di una comunità, flagello di schiavisti e malfattori. Ho ripreso in mano la mia vita e affrontato le mie paure. Ho imparato a camminare sulle mie gambe senza dipendere più da nessuno.
Eppure ripenso spesso con nostalgia all’epoca in cui facevo parte di un gruppo di compagni, uniti contro il male e le minacce del mondo.
Uno di loro in particolare riaffiora con affetto tra i miei ricordi. Il mio cuore è sempre appartenuto al Figlio di Bhaal, anche se lui alla fine ha scelto di donare il suo a un’altra donna; ma nessuno sapeva far sbocciare il mio sorriso come il ranger dal cuore d’oro, il guerriero generoso, l’insostituibile Minsc. Se sono diventata quello che sono oggi lo devo anche a lui, ai suoi incoraggiamenti, alla fiducia che mi ha sempre dimostrato anche quando ero io la prima non credere più in me stessa.
Mi chiedo spesso dove sia ora. La ragione mi sussurra che gli umani non sono elfi, che la vecchiaia e la morte li catturano molto prima di noi, ma è un’idea che mi rifiuto categoricamente di considerare. Minsc non è mai stato come gli altri, per lui non possono valere le stesse leggi dei comuni mortali.
Per questo ogni volta che alzo lo sguardo verso il cielo stellato mi convinco che lui e Boo devono essere lassù da qualche parte, in un luogo dove i criceti sono giganti e gli uomini diventano leggenda.
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Nota: l'ultima frase è ripresa pari pari dal finale di Minsc in ToB. Chi non ha mai versato neanche una lacrima leggendola per me non può definirsi un vero fan di Baldur's Gate.
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Personaggio: Dynaheir
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti: probabilmente la peggiore tra quelle che ho scritto. L'avevo iniziata, poi ho avuto idee per un'altra storia e questa ho deciso di concluderla perché proprio non riuscivo a darle forma, sorry.
Dejemma
Forse dovrei seguire l’esempio di Minsc. Ma non ci riesco. Chiudere gli occhi e lasciare nel sonno l’attesa di domani …
Sono in tanti a pensarla come me. La famiglia di gnomi che è giunta in ritardo alla presentazione è ancora sveglia, il fuoco del loro campo che sembra una luce fioca davanti ai loro incantesimi. Illusioni, nulla di più, ma quelle piccole creature sono tenaci quanto sbadate, e a giudicare dalla vampa di fiamme emanata dal palmo del vecchio capofamiglia dalla barba bianca non posso considerarli fuori dalla competizione. Ma l’Anello della Stregoneria sarà mio.
Posso farcela, devo farcela.
Trentasette maghi, un solo vincitore. E non sarà quell’elfa impettita che si dà arie da grande maga solo per le sue orecchie a punta. E nemmeno quel bel thayano dalla barba impeccabile, né l’elfo tutto blu con il suo caratterino irritante. Il mio dejemma non mi ha condotta in questo accampamento lontano da casa per essere la numero due.
Le mura di cinta che circondano questa locanda costruita nel bel mezzo del nulla sono l’ideale per un ultimo allenamento: l’evocazione non è ancora il mio punto forte. Cerco le parole esatte, muovendomi tra le centinaia di incantesimi che potrei utilizzare per la gara, ed una coppia di ettercap produce il loro tipico verso gorgogliante quando appaiono davanti a me, scrutandosi intorno come se già aspettassero un nemico. Sono esseri disgustosi, su questo quell’idiota Minsc non ha tutti i torti, ma … hanno la loro utilità.
È difficile farsi obbedire, il contatto mentale con le creature attraversa la spina dorsale come la mano di un gigante, ma proprio per questo devo farcela.
Andate.
Provano ad aggrapparsi alle crepe nelle mura, poi a muoversi sull’edera; li faccio salire e scendere, correre e saltare, e quando lancio loro un ramoscello si avventano con le loro esili braccia distruggendolo in colate di bava acida ed icore fingendo che sia una vera preda. Domani basterà scatenarli sugli gnomi per scaraventarli del caos e superare il turno … con un po’ di fortuna potrebbero anche rovinare il vestitino dell’elfetta e distrarla il tempo sufficiente di cancellare il suo nasino all’insù con un paio di Dardi Incantati. Sì, può andare.
Gli ettercap si liberano dal controllo. Il pensiero della gara mi ha distratta, e come una falce cala sul sottile filo che lega le creature evocate a me; sento il contatto dissiparsi nel buio ed il cuore mi risale in gola, ma stranamente non si rivolgono contro di me. Scendono dal muro di cinta con una velocità innaturale per le loro corte zampe, diretti contro qualcosa in un punto dove gli alberi diventano più fitti. Uno di loro manda un sibilo che sveglierebbe tutta la Locanda del Braccio Amico e si avventa sulla preda, ma un raggio di fuoco illumina la notte scagliando i resti carbonizzati della bestia a pochi passi da me. Il secondo ettercap indietreggia, ma i suoi occhi verdi sono puntati sulla figura che emerge dagli alberi, la mano destra ancora avvolta nelle fiamme.
“Sembra che qualcun altro qui dentro soffra d’insonnia! (possibile che mai, MAI una volta tutto fili liscio?)”
Riconosco subito la figura, anche quando la fiamma tra le sue dita si abbassa: il mantello scarlatto del thayano sarebbe visibile anche nella più fonda delle notti di Rashemen, così come il suo cipiglio. Uno dei più abili maghi tra noi, e sicuramente il più misterioso; uno di quelli che mi auguro non incontrare mai dall’altra parte della mia strada. “Sei idiota o cosa, stupida scimmia? Ancora mi chiedo perché certi incantatori da circo non capiscano che l’evocazione è la regina di tutti i rami della magia ed è alla portata solo dei migliori!” borbotta, lanciando un’occhiata prima a me e poi all’ettercap. La creatura percepisce l’ostilità e manda un gridolino d’attacco, ma questo non intimorisce affatto il nuovo arrivato. “Adesso, con permesso …”
Dovrei scusarmi, ma una piccola luce attrae la mia attenzione.
Lo scintillio al dito dell’uomo raccoglie per un istante la luce delle stelle. E non occorre un incantesimo di identificazione per capire che l’anello incastonato di pietre rosse non è finito in quella mano per puro caso. Il thayano si deve essere accorto del mio sguardo perché immediatamente la mano sinistra scompare sulla tunica, ma se pensa di ingannarmi in questo modo … “L’Anello della Stregoneria …”
Le scintille nella sua mano ricompaiono immediatamente. Quanto detesto avere sempre ragione. “Lo hai rubato! Come hai fatto a …?”
“Puah, direi che hai visto abbastanza! (come se avessi tempo da perdere in una gara contro dei dilettanti)”
Il mio riflesso di tanti giorni trascorsi nella foresta mi salva la vita. La sua Vampa di Agannazar saetta come la zampa di una bestia verso di me, e solo dopo aver fatto un passo indietro vedo l’albero che si trovava alle mie spalle completamente in fiamme. L’ettercap si lancia sull’avversario e si avventa contro il braccio, ma un’esplosione di acido ne fa schizzare gli organi in tutte le direzioni. E poi tocca a me. “Schiva questi, thayano!”
La luce dei Dardi Incantati vola nella sua direzione, e prima che possa evitarli ne ho pronti altri tre, giusto nel punto dove pensa di potersi dare alla fuga; schizzano contro il mantello rosso, ma invece di bucherellargli a dovere la tunica esplodono in mille piccoli fuochi d’artificio intorno alla sua figura. Una sottile barriera azzurra riveste tutto il suo corpo, e mentre l’incantesimo Scudo è ancora alzato l’aria si raffredda. “Prevedibile, terribilmente prevedibile”.
Il potere dell’Anello è attivo, poi la sera si trasforma in un riflesso di cristalli di ghiaccio. Cadono dal cielo come grandine, devo saltare, devo correre o finirò come il corpo straziato del mostro evocato, che adesso giace trafitto da un blocco gelido. La punta di un cristallo mira al mio petto, la schivo di nuovo ma quando provo a creare anche la più piccola barriera divento un bersaglio troppo semplice. Lui evoca di nuovo, lo Scudo ancora alzato tenuto il piedi dall’artefatto che ha sottratto, e la potenza dei tre incantesimi uniti basta da sola a farmi mancare il fiato, spingendo un brivido doloroso lungo tutta la colonna vertebrale e poi su, di nuovo nella gola. L’ultimo Dardo Incantato mi scivola dalle mani e dalla mente come una colomba.
“Tsk, che perdita di tempo! (Ho fatto proprio bene a …)”
Il suo mugugnare si trasforma prima in un urlo, poi in una serie di improperi. “Mettimi giù! Ho detto METTIMI GIU!”
“Che dici, Boo? Devo levargli quell’anello? Provvedo subito!”
“Mollami, stupido gorilla. MOLLAMI SUBITO!”
La prima immagine di quando apro gli occhi è lo stregone rosso che scalcia come un forsennato sulle spalle di Minsc, che lo trasporta come se fosse il sacco delle provviste. Il vecchio, sudato, ostinato, ottuso Minsc: non sono mai stata così felice di trovarmelo al fianco. Persino lo squittio del suo stupido roditore mi fa battere il cuore. “Dove arriva Minsc, il male si ritira. E tu preparati a ricevere il trattamento speciale dei miei stivali! Nessuno può fare del male alla nostra Strega!”
Prima che possa dirgli qualcosa o chiedergli di prenderlo prigioniero, Minsc solleva lo stregone urlante con una mano, e persino da questa distanza, nel buio della sera, riesco a vedere l’impronta di fango, sterco e lividi che campeggia sul borioso didietro del mio avversario mentre viene costretto ad allontanarsi. Solo quando l’ultimo “UN GIORNO ….!” sparisce oltre le mura della locanda il mio cuore riprende a battere normalmente.
“Immagino che in quanto a magia io abbia ancora molto da imparare” mormoro, ma evidentemente non così a bassa voce come penso. Minsc mi viene vicino, sgrullandosi soddisfatto la polvere ed il fango dalle mani; poi la sua pacca cala sulla mia spalla, e domani ci sarà più di un livido in quel punto. “Certo che bisogna imparare! Lo dice sempre anche Boo, non dobbiamo mai fermarci e cercare sempre di migliorare!”
Poi fa qualcosa di strano. Almeno per lui.
La sua enorme mano callosa si apre verso di me come a invitarmi a prenderla. “Ma ricorda, hai sempre il supercervello di Boo dalla tua parte! Ed anche gli stivali di Minsc! Quindi non ti abbattere, perché di certo un giorno sarai la numero uno!”
E prima che io possa accettare è lui ad afferrarmi il polso. “Perché questo è il nostro dejemma”.
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Provate a indovinare chi è!
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Personaggio: Hexxat
Genere: Introspettivo, Missing Moments, Drammatico. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti:spoiler pesanti sulla trama di questo personaggio, specie sui risvolti nella trama di ToB e della sua ending. Se non volete spoiler vi consiglio di girare al largo!
[spoiler]
Somewhere I belong
I want to heal, I want to feel,
Non respirano più.what I thought was never real.
I want to let go of the pain I felt so long (Erase all the pain 'til it's gone)
I want to heal,I want to feel,
like I'm close to something real.
I want to find something I've wanted all along,
somewhere I belong.
(“Somewhere I belong”, Linkin Park)
L’ultima crolla ai miei piedi e rimane sulle scale, facendo calare di nuovo il silenzio nel tempio; persino gli uccelli della giungla tacciono, aspettando l’alba. Il sangue delle sacerdotesse è amaro come il loro cuore. Potrei nutrirmene, ma non ho fame: preferisco osservarlo mentre scivola lentamente nelle crepe del pavimento fino a disegnare una forma strana, forse una corona rossa sul marmo candido ai piedi dell’altare. Non c’è traccia dell’eccitazione del passato, soltanto un brivido freddo che non scompare nemmeno accanto al braciere colmo di incenso; stasera la fame di Ubtao sarà placata dal sangue delle sue stesse adoratrici.
Sono morte. E le ho uccise io. Tutti i loro incantesimi, tutti i loro paletti di frassino non sono serviti a nulla. Lo sguardo bianco della Prima Viaggiatrice adesso mi fissa dal pavimento, e la luce della vita che si è spenta non cancella l’odio, il disprezzo ed il disgusto per il mio volto che vi si riflette appena. O forse si tratta di paura. Paura per quello che sono.
Paura per quello che una di loro è potuta diventare.
Al piano inferiore una porta si apre, lasciando il passo a degli stivali che non vogliono nascondere a nessuno la loro presenza. Sapevo che saresti arrivato …
Immagino che dovrei essere pronta, ma “pronta” è una parola che ha assunto talmente tante sfaccettature in questi ultimi decenni che lascia sciogliere ogni pensiero nella sottile nube di incenso. Un soffio di vento muove la fiamma, e per un istante il monile che adorna il collo di una delle sacerdotesse risplende di arancione e oro, chiamandomi come il più luminoso dei tesori della tana di un drago. Il labirinto inciso sul metallo non è stato toccato dal sangue, e per un istante lo vedo al collo di un’altra donna, una bellissima donna dai lunghi capelli neri ed il sorriso come uno stormo di colombe. Una donna che ho tanto sognato nel corso di questi lunghissimi anni.
La superficie del pendente riflette il mio viso, così simile al suo ma imbrattato dal sangue e dalla polvere, antico come soltanto l’espressione vuota di un essere immortale. Vuoto come quella di L.
“Speravo non si trattasse di te, Hexxat”
È comparso dell’argento nei suoi capelli biondi, e la barba è molto più folta di allora. Ma non è cambiato nulla nella sua postura eretta, nell’armatura splendente o nella maestosità dell’enorme spada ingioiellata che gli risplende da oltre la linea delle spalle. “Immagino mi stessi aspettando …”
“E sai anche perché, Figlio di Bhaal”.
“Era necessario giungere a questo? Sarebbe bastato …”
“Ma tu non saresti venuto. Non negarlo”.
Osserva i corpi distesi a terra, uno per uno. Lo sguardo scivola sul disegno di sangue, poi su di me, carico di tutti quei pensieri che lo hanno sempre reso così diverso, così distante da tutti coloro che ho conosciuto. Mi fissa come il giorno che ci siamo incontrati, quando tra noi due vi era soltanto la figura esangue di Clara. Come se il tempo non fosse mai esistito. Non odio, non paura. Nulla delle migliaia di sguardi che io abbia mai ricevuto, ma con riflesso che non mi è dato di comprendere, la stessa luce semidivina che mi ha trascinata davanti alla battaglia per il Trono di Bhaal. “No, non lo nego. Ma speravo che fossi cambiata, Hexxat. Che non avessi bisogno di simili stragi per condurmi a te”.
“Sei troppo abituato ad essere il fulcro intorno a cui gira il mondo, Figlio di Bhaal. Queste donne meritavano la morte, e risparmiami tutte le prediche al riguardo. Non mi chiamo Anomen”.
Sapevo che sarebbe successo. Sapevo che avrei ottenuto il suo biasimo, la sua tristezza. Ma lui non può capire, né lo potrà mai fare. A Candlekeep nessuno ha mai arretrato il passo alla sua presenza, gridandogli di essere un mostro; il mondo lo ha accolto insieme alla donna che ama, aprendogli tutte le porte. Sono certa che quella biblioteca di cui parlava spesso si è spalancata per rendergli omaggio, magari illuminando i corridoi polverosi che erano rimasti chiusi in attesa del suo viso, delle sue risate gentili. La sua luce non può capire il gelo, il nero nel cuore di queste donne.
La sua luce ha un posto dove tornare.
“Mi hai fatto una promessa, Figlio di Bhaal. Una promessa su Carsomyr, il Santo Vendicatore. E ti chiedo di mantenerla, perché sai cosa succederà se mi lascerai uscire da questa stanza. Queste donne non sono le prime, ma non saranno nemmeno le ultime”.
Li ho visti, e lui lo sa. Non è venuto in questa penisola sperduta impreparato, nel fondo del suo cuore sapeva. I paletti di legno sono lì, incisi nelle rune sacre dell’Ordine, stretti alla sua cintura in attesa di porre fine alla vita di un immortale. Non riesco a provare paura. O odio. Soltanto la stanchezza della polvere millenaria e l’ultimo incontro con il corpo decaduto di L.
Quel giorno scelsi di vivere, di inseguire un sogno insieme a quest’uomo ed ai nostri compagni, alla ricerca di un mondo migliore dove tutti potessimo vivere insieme a coloro che amiamo.
Oggi …
Estrae i paletti, guardandoli con tristezza. “Non sei il tipo che lascia molta scelta agli altri …”
Quel mondo non esiste.
O forse non è mai esistito.
O è esistito nelle speranze di Clara e nella tenacia di Phreya e adesso è sepolto in una tomba senza nome.
L’incenso non riesce a coprire il suo profumo. I muscoli del suo collo ampio fremono davanti a me mentre regolano il respiro, si fanno forza senza ritrarsi davanti al predatore che potrebbe saltare in qualsiasi momento e trasformare questo istante in un nuovo affresco di morte. La punta dei suoi strumenti è affilata, le rune vive. Il giorno tarda a venire. Si alza di nuovo la brezza che annuncia il mattino, carica del profumo dei grandi fiori bianchi che mia madre usava per creare candele. E chiudo gli occhi, respirando quegli odori del passato. “Il tempo è finito”.
Poi il mondo diventa caldo, un caldo vivo. Una fiamma forte, intensa come quella della vita mi attraversa le spalle, proprio dove le sue mani premono con forza, stringendomi senza fornire alcuna spiegazione. Nelle dita non c’è nulla, e per un attimo il fuoco del braciere guizza in alto, come se nuova legna lo stesse alimentando; poi cade, rovina a terra, e c’è solo una nube di scintille intorno a lui, tra me e la vita, tra lui e la morte. Mi stringe a sé come un’amante, abbracciandomi senza lasciare che nemmeno uno spiraglio d’aria passi tra il mio corpo ed il suo. “Non ancora, Hexxat. Non ancora”.
Ogni mio tentativo di muovermi svanisce nelle sue braccia, lasciandomi sola con il suo cuore e la consapevolezza che è il primo essere umano ad essere così vicino, così unito a me che non sia una preda. “Avevi giurato su …”
“Su un pezzo di metallo. Su nulla che possa mai valere quanto la vita di un’amica” sorride. E per un istante, un solo istante, il mio cuore riprende a battere seguendo il suo. “Sono certo che troverai un posto in cui tornare. E se quel posto ancora non esiste lo costruiremo insieme, come abbiamo sempre fatto”.
Ignorando quello che gli altri pensano di noi. Ignorando i loro sguardi. Ignorando le nostre paure.
Non sono certa di potervi credere, ma questo cuore che batte è mio, e batte, batte.
Batte anche quando veniamo avvolti dalla primissima luce dell’alba.
N.d.W. questa storia l'ho scritta quasi di getto dopo essermi spoilerata il finale di Hexxat in ToB, finale che mi ha lasciata un tantino perplessa. Innanzitutto Hexxat tiene così tanto a tornale mortale che è disposta persino a morire (a morire, non scherziamo!) pur di diventare umana e morire come tale, si spinge nelle tombe più nascoste solo per questo e poi ... due parole con il protagonista e c'è la possibilità di convincerla a rimanere vampira e continuare, come se questa sua volontà di tornare umana si abbattesse al primo mutamento. E poi il finale non della romance che ho trovato un tantino a pera ... ma perché va ad uccidere le sacerdotesse di Ubtao? Oltre al fatto che la madre fosse una di loro, ma non c'era motivo per cui lei diventasse così sanguinaria, né vendette, né nulla ... da qui il tentativo di aggiustare questi buchi, anche se non credo di esserci riuscita.
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Complimenti per la creatività, la passione e il talento.
Degno dei bardi ispirati da Oghma (o dalla sua Sola Vera Mano Milil se preferite).
Sappi però che il mancato utilizzo del "fra" ha provocato profondo disappunto nel Baeloth che è in me. U_U
Ps: vediamo se avrai compensato nel racconto dedicato a lui. ;-)
Sai com'è, prendo molto a cuore l'argomento, avendo tradotto Baeloth ed essendo spesso uscito matto per trovare delle traduzioni altrettanto allitteranti e altisonanti. ;-)
@bengoshi I'm glad you like it, I was truly inspired ... When I heard about Hexxat's ending I though "That's fantastic for a one-shot story!"
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Personaggio: Neera
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: giallo
Avvertimenti: ambientata tra BG1 e BG2 e basata su un evento raccontato nei dialoghi della romance di Neera.
Liquid fire flowing through my veins
Le ondate selvagge possono avere gli effetti più disparati e imprevedibili, e questo lo sanno tutti. Ciò che la maggior parte della gente ignora (anche perché preferisce prenderci a sassate piuttosto che farci domande) è che anche le sensazioni fisiche che le accompagnano sono diverse. Io mi sono sempre divertita a dividerle in categorie, per capire, per cercare di prevedere.
Ci sono quelle “semplici”, che di solito corrispondono agli incantesimi innocui, e che si manifestano con un pizzicore nelle narici e sul fondo della gola, come uno starnuto. Altre ti fanno girare la testa e rimbombare le orecchie, i margini del campo visivo si offuscano e si riempiono di puntini gialli come durante uno svenimento. Altre ancora sono un abbraccio di ghiaccio e fuoco che ti fa battere i denti dal freddo mentre i capelli ti si appiccicano alla fronte per il sudore.
E poi c’è il fuoco liquido. Non saprei come altro definirlo. Sono gli incantesimi più potenti e devastanti, quelle rare ma fatidiche volte in cui la tua magia squarcia la trama della realtà e spalanca un varco verso il Piano dell’Aria, i Nove Inferni o gli dei sanno dove altro, scatenando demoni e tempesta nel mondo. Allora è come se un sole incandescente esplodesse al posto del tuo cuore e pompasse fuoco liquido nelle vene, fino a divampare incontrollato dalla punta delle dita. Detto così può sembrare spaventoso, ma non è affatto una sensazione spiacevole. Tutt’altro. È ebbrezza, estasi allo stato puro. L’ho sempre paragonata al momento culminante dell’atto d’amore, quando il tuo corpo e il tuo respiro diventano un tutt’uno con l’altro, e i battiti del cuore accelerano travolti da un’onda inarrestabile di piacere.
L’amore, già.
Avrum è ancora addormentato. La sua pelle bruna forma un piacevole contrasto con le lenzuola bianche aggrovigliate attorno al suo corpo atletico, tanto che per un attimo ho la tentazione di arrampicarmi di nuovo sul letto e svegliarlo con un bacio.
Invece rimango in piedi dove sono, già rivestita, lo zaino con le mie (poche) cose pronto e chiuso al mio fianco.
La luce del primo mattino si insinua appena tra le imposte chiuse, accuratamente sprangate da Avrum per bandire fuori il mondo e custodire il nostro segreto. Stanotte è stato… bello. Dolce, anche. Ma non ho sentito il fuoco liquido scorrere nelle mie vene. Il mio cuore non si è trasformato in un globo di fiamme scintillanti.
La maggior parte delle ragazze comuni mi prenderebbe per una pazza. Avrum è giovane, bello, è un “bravo ragazzo”, come direbbero le anziane della Grande Foresta; ha un ottimo impiego come scrivano e tutti i requisiti per crearsi una posizione in futuro. Cose che, a dirla tutta, una ragazza spiantata e senza un soldo come me non dovrebbe disdegnare. È anche simpatico, e persino galante. Ecco, su quello bisognerebbe lavorare un po’. La prossima volta che stende a terra il mantello per farmi passare sul fango o mi apre le porte davanti come se fossi un’impedita giuro che mi prende una crisi di nervi o, nel peggiore dei casi, un’ondata selvaggia.
Ma non ci sarà una prossima volta.
Non sono pronta a lavare i panni e cucinare per un uomo. Non sono pronta ad accoglierlo con un sorriso e un bacio quando torna a casa la sera, stanco dopo una giornata di lavoro. Non sono pronta a una serie di giorni tutti uguali, scanditi dal ritmo martellante e ordinato della città. Forse non lo sarò mai.
Afferro lo zaino e richiudo con delicatezza la porta della stanza prima di uscire, per non svegliarlo. L’ultima immagine che ho di lui è il sorriso morbido che ancora aleggia sulle sue labbra perfette, leggermente socchiuse nell’abbraccio del sonno.
Preferisco ricordarlo così.
Fuori dalla locanda un soffio di vento fresco mi scompiglia i capelli, e mi fa scivolare via dalla pelle l’odore di chiuso della stanza, il profumo di Avrum e della nostra prima e ultima notte d’amore. La strada mi aspetta, la giornata è limpida, perfetta per viaggiare. Al tramonto avrò già messo parecchie miglia di distanza tra me e Baldur’s Gate.
Improvvisamente, senza alcun motivo logico, mi torna in mente lui. L’elfo dai grandi occhi azzurri e il talento irrefrenabile per gli scherzi. Il Figlio di Bhaal. Le nostre strade si sono divise sempre qui, in questa stessa città, dopo una battaglia campale a cui ancora mi meraviglio di essere riuscita a sopravvivere.
Un altro uomo, un’altra fuga. Pare che la mia lealtà in amore sia incostante almeno quanto i miei incantesimi.
Mi sorprendo a chiedermi se lo incontrerò di nuovo, e nel pensare a lui qualcosa di indefinito si muove dentro di me. Non è un’ondata selvaggia e neppure il fuoco liquido, ma è un guizzo caldo, un tepore piacevole che mi fa camminare più rapida e leggera mentre mi abbandono con un sorriso sognante al vortice dei ricordi.
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Personaggio: Tiax
Genere: Introspettivo, Missing Moments. Canon.
Rating: giallo
Avvertimenti: li sentite i gatti che si arrampicano sugli specchi? Ecco, questo è più o meno il suono che sentirete leggendo questa fanfic, perché inventare qualcosa sul nostro gnomo di fiducia supera qualsiasi livello di sfida. Qualcuno per caso riconosce la citazione del titolo? E ricordate sempre che "The day will come when TIAX will point and click!"
Dancing Mad
29 Tarsakh 1369, ore 14
Il prigioniero numero 5 non si è dimostrato docile come la numero 4. Ho dovuto richiedere l’aiuto dei miei apprendisti e di Lonk per addormentarlo e chiuderlo in una cella; è maledettamente resistente per la sua taglia. Quando lo hanno mandato quaggiù credevo si trattasse dell’ennesimo gnomo illusionista da gettare agli Umber Hulk dei livelli inferiori, ma questo soggetto mi interessa. Tra i suoi deliri di dominare il mondo e ridurci a meri scendiletto ballerini per Cyric ha detto qualcosa di molto interessante: ha visto un figlio di Bhaal a Baldur’s Gate. Ho scritto a Tolgerias, ma quel maledetto raccomandato mi ha risposto che solo un folle darebbe ascolto alle fandonie di uno gnomo chiaramente squilibrato. Chissà, forse sto impazzendo. Non sarei il primo qui dentro.
Mi chiedo quando finirà questo incarico.
1 Mirtul 1369, ore 2
Maledetto chierico! Non era nella sua cella!
Quando avrò tempo darò una lezione con i fiocchi a quella mocciosa cambiafaccia che si è sostituita a lui, ma adesso dobbiamo recuperare numero 5 ed alla svelta! Se ai piani alti sapessero che mi sono fatto scappare un comunissimo gnomo mi spedirebbero a pulire le latrine dell’Ordine con la lingua!
1 Mirtul 1369, ore 15
Ci mancava soltanto un tentativo di rivolta in nome di Cyric. Quando numero 2 ha gridato che tra le spire dei mondi aveva visto un futuro in cui Cyric era grande e Tiax il suo profeta ho sentito il bisogno impellente di affondare quest’isola. Bisogno che è aumentato vertiginosamente quando numero 1 ha guidato la sua armata di licantropi immaginari contro le nostre forze. Il suo Grido della Banshee non era però così tanto immaginario …
2 Mirtul 1369, ore 19
Sempre sia lodato il nostro compianto ingegnere. Numero 5 si è messo in trappola da solo nella stanza degli indovinelli, ed anche quando lo abbiamo portato via con la forza ha continuato a gridare che nessuno poteva sfidare il grande Tiax in una gara di indovinelli e pretendere di aver ragione contro il suo intelletto divino. Da qualche parte Cyric deve comunque star ascoltando le sue blaterazioni, perché al terzo incantesimo di Sonno continua a tuonare nella cella e se continua così dovranno ricoverare me.
Lonk sostiene che dovremmo semplicemente sbarazzarcene, che abbiamo abbastanza prigionieri per i nostri esperimenti e che possiamo fare a meno di un individuo tanto instabile da gettare per un giorno la reputazione degli Stregoni Incappucciati nel fango. Ma per fortuna non è lui a dare gli ordini qui dentro. Numero 5 si è dimostrato il soggetto che più di tutti è riuscito a sorprendermi ed a sorprenderci, superando qualsiasi etichetta e sigillo sulle documentazioni che lo riguardano; non so quanto ne sia stato consapevole –molto poco, da quello che sono riuscito a vedere- ma le sue parole hanno aperto una breccia che avrebbe potuto causare la rovina di questa fortezza. Siamo pochi, troppo pochi. E questo la sede centrale non riesce a capirlo.
Meno di quella marmaglia di detenuti, che per quanto parlino da soli, viaggino dei mondi dentro una cella e cerchino delle gemme immaginarie hanno ancora una loro volontà. Flebile, senza dubbio, ma sono bastate poche parole per svegliarla; la speranza in Cyric, una terra promessa, un universo di luce, qualunque cosa abbia raccontato loro quello stupido gnomo ha dato vita ad una reazione che siamo riusciti a sventare solo per fortuna. Nei registri ufficiali parlerò dell’efficienza del nostro ordine, ma non sempre la realtà si trova lì dentro. Per questo ho bisogno di studiare ancora il numero 5. Devo conoscere oggi ciò che potrei essere costretto a distruggere domani. Cosa può trasformare una stupida scintilla in un incendio.
E devo chiedere più uomini. Stasera riceveremo delle visite, un uomo ed una donna che da quello che mi è stato raccontato hanno causato più di un problema alla Passeggiata di Waukeen, giù ad Athkatla. Parlerò con chiunque li accompagni e cercherò di spiegare il problema. Basterebbe un’altra persona come numero 5 e questo posto potrebbe trasformarsi nella nostra tomba.
Wanev, centoquattresimo supervisore del penitenziario di Spellhold
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Ora servirebbe l'altra campana. Quella di Tiax. E quando suonerà tutti si inginocchieranno dinnanzi alla sua gloria.
No, "Dancing Mad" è il tema di uno dei boss finali più famosi dei videogames, Kefka Palazzo (da Final Fantasy VI)
Sempre lode al grande Tiax, che il suo potere vi mostri sempre la via che porta alla gloria eterna!
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Personaggio: Cernd
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico
Rating: giallo
Avvertimenti: basata in parte sul finale di Cernd post Throne of Bhaal.
Profezia
Gli artigli del licantropo catturano la luce del sole e calano una, due, tre volte. La preda balza di lato, quasi perde l’equilibrio e agita il braccio in un ultimo, disperato tentativo di difesa. Dalle sue dita erompe una massa scura che si allarga e si avviluppa attorno al corpo del licantropo come una rete formata da migliaia di piccoli nodi neri che si agitano forsennati, sferzano e mordono senza sosta.
Insetti – l’informazione si registra in un angolo sul fondo della sua mente, prima di finire di nuovo sommersa dalla marea dell’istinto. La belva spalanca le fauci e ruggisce con tutta la sua forza per disperdere il ronzio che gli dilania le orecchie; ma le punture sono poco più che gocce d’acqua sulla sua pelle corazzata, e questo la preda lo sa. Può sentire l’odore pungente della sua paura, misto al profumo delle foglie schiacciate sulla terra umida e degli alberi spogli, e a quello delle nubi lontane, gonfie di tempesta.
Al quarto assalto gli artigli non mancano il bersaglio. Lacerano abiti e pelle, affondano in profondità nei muscoli. L’urlo straziante della preda si conficca contro il cielo freddo, l’ambito segnale per l’inizio del banchetto.
L’odore del sangue gli infiamma le narici, fa colare copiosa la saliva tra le zanne spalancate. Con le zampe anteriori inchioda la preda ormai inerme a terra, e avvicina il muso per reclamare il premio che gli spetta, il meritato pasto del conquistatore.
“Il bosco ha emesso il suo verdetto, fratelli miei! Abbiamo un vincitore!”
Il grido del maestro Verthan riverbera dentro di lui come un segnale e lo immobilizza sul posto, le zanne a pochi centimetri dal viso della vittima. Come il rintocco di una campana entra in risonanza con la magia primordiale che scorre nel suo corpo di bestia, e in pochi attimi il muso e le zanne si ritraggono, gli artigli tornano innocue dita umane, la forma massiccia e contorta si raddrizza e si riduce.
Cernd barcolla e cade in ginocchio.
Le mani cercano subito il contatto con la terra, le dita affondano tra le zolle smosse dell’arena mentre il respiro spezzato si calma sotto la fronte imperlata di sudore. I battiti del suo cuore si armonizzano gradualmente al lento pulsare della madre terra e la mente si schiarisce, riportandolo presente a se stesso. Pian piano mette a fuoco l’arena, poi il cerchio di frassini e querce secolari e i druidi assiepati tutto intorno, chiusi in un silenzio irreale. In un angolo, il Figlio di Bhaal e gli altri membri del gruppo gli sorridono, e la giovane avariel ha persino le lacrime agli occhi per il sollievo di vederlo vivo.
Il silenzio è carico di attesa, di anticipazione. Sa che tutti non aspettano altro che un suo segnale. Una parola del vincitore, un ordine che decreti il destino del bosco e della comunità che lo abita.
Lentamente, Cernd si alza in piedi. Solo allora i suoi occhi si posano sul corpo dell’avversaria, riverso accanto a lui, gli arti piegati in angoli innaturali. Il suo petto si alza e si abbassa con fatica, in una serie di rantoli. Una corolla rosso scuro sboccia dalla ferita che le attraversa l’addome e si allarga sotto di lei, la terra che già beve avidamente il liquido quasi nero.
“Questa è la prova definitiva, Faldorn.” Cernd non riconosce neppure la propria voce, che gli sfugge dalle labbra rauca e spezzata come se non la usasse da un tempo infinito. “I tuoi precetti sono un fiume che si ostina a percorrere il suo letto dalla foce alla sorgente. Un’aberrazione. E come tale non possono esistere.”
Faldorn tossisce e un fiotto di sangue le cola tra le labbra: “I folli… siete voi… il vostro buonismo… sarà la rovina del bosco…“ un’altra fitta le squassa il petto, più violenta di prima, ma la donna continua a parlare, aggrappata alla vita con ogni briciola di energia che le resta. “ … io lo so… lo vedo… “
I suoi occhi si spalancano di colpo. Le pupille annegano nelle iridi del colore della terra fertile e sembrano fissare un punto oltre lui e la foresta, perse in una distanza infinita forse già al di là del velo della morte.
“La tua prole, Cernd… sarà la tua sciocca prole, per causa tua… una quercia dalle foglie rosse, nata dal sangue, da una guerra parricida… la magia corrotta intaccherà i boschi, i tuoi insegnamenti… falliranno, e la natura… soffrirà… “
Un ultimo sussulto e gli occhi di Faldorn diventano vitrei, immobili. Il respiro si ferma.
All’unisono, i druidi nella radura piegano il ginocchio davanti al nuovo signore del bosco.
Il dominio dei druidi d’Ombra è spezzato, la pace potrà sorgere di nuovo tra il popolo della foresta e gli abitanti di Trademeet. Gli attacchi di animali cesseranno, e il commercio riprenderà più fiorente di prima. La sua missione è riuscita.
Dovrebbe gioirne, pensa mentre il Figlio di Bhaal e gli amici corrono ad abbracciarlo e a congratularsi con lui.
Eppure le ultime parole di Faldorn continuano a tormentarlo. Ore di canti e festeggiamenti non bastano a cacciare il dubbio che si è annidato in lui come un parassita invisibile nel cuore di un albero.
È per questo che quando i suoi compagni stanno per ripartire, due giorni più tardi, Cernd decide di mettersi in viaggio insieme a loro.
“Pensavo che volessi restare con Ashdale” il Figlio di Bhaal è notevolmente sorpreso.
“Sarò più utile alla vostra causa. Verthan qui è più che in grado di prendersi cura del bosco ora che la minaccia è passata. In quanto a mio figlio… lui starà meglio con i druidi.”
Se c’è una cosa che ha sempre ammirato nel Figlio di Bhaal è la discrezione. L’elfo si limita a fare un cenno di assenso senza indagare con ulteriori domande, e poche ore dopo il bosco è alle loro spalle e le mura di Trademeet svettano in fondo alla strada nella luce del tramonto.
È la scelta migliore. Non ci saranno pericoli per Ashdale e per il bosco finché il bambino rimarrà affidato alle cure amorevoli dei druidi. Nessuno meglio di loro potrà insegnargli l’amore per la natura, il rispetto per le cose che crescono e per l’equilibrio che permea il mondo.
Non vincerai, Faldorn. La tua maledizione non avrà effetto.
Cernd lo giura a se stesso ad ogni passo del suo cammino. Proteggerà suo figlio, qualunque sia il prezzo. Anche a costo di stargli lontano. A costo di soffocare la voce del suo cuore, che in quello stesso momento gli grida di tornare indietro e correre a riabbracciarlo.
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Note: come avrete intuito la storia è ambientata durante la sfida contro Faldorn al bosco dei druidi, ma ho aggiunto vari tocchi personali. Chi la conosce noterà che qui si respira a pieni polmoni mitologia greca. In molti miti infatti (nell'Iliade, ad esempio) le parole dei morenti hanno poteri profetici. Altra regola fondamentale della mitologia greca, nessuno scampa al volere del Fato, neanche gli dèi. Anzi, più cerchi di opporti e più finisci per fare esattamente la sua volontà. E' quello che succede qui al povero Cernd, che pensa di fare il meglio per suo figlio e invece finirà per estraniarsi da lui. La profezia di Faldorn si avvererà nel finale post Throne of Bhaal, forse uno dei più tristi tra i finali dei vari png. Nell'originale Cernd trascurava il Figlio per via dei suoi doveri di druido, ma come ho scritto volevo aggiungere un tocco personale